Apriti Sesamo è il nuovo lavoro di Franco Battiato, disco che esce a ben cinque anni di distanza dall’ultimo album di inediti “Il Vuoto” (nel mezzo, le cover di “Fleurs 2” e le versioni ri-arrangiate di “Inneres Auge”). Per la sua ultima fatica Battiato continua ad avvalersi di collaboratori ormai storici quali il filosofo Manlio Sgalambro (co-autore dei testi) e Pino “Pinaxa” Pischetola (ritmiche e programmazione), affiancati da un cast di primissimo livello: Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson) alla batteria, Simon Tong (ex Verve) alle chitarre, Faso (Elio e le Storie Tese) al basso e il Nuovo Quartetto Italiano agli archi. Diciamolo subito: “Apriti Sesamo” è un ottimo disco; un album profondo, intelligente, ispirato, mai banale, in grado di coniugare questa “serietà” di fondo con sonorità assolutamente godibili e non pretenziose. Un lavoro che si discosta dagli album più rock (altrettanto buoni, intendiamoci) dell’ultima fase di Battiato (“Il Vuoto”, “Dieci Stratagemmi”, “Ferro Battuto”, “Gommalacca”, “L’Imboscata”), per tornare a coordinate che si collocano tra il pop (anche quello Ottantiano dei suoi dischi di maggior successo) e il cantautorato. Apre il disco Un irresistibile richiamo, elegante pezzo di “pop mistico” in cui nulla è fuori posto, oscillante tra richiami panteistici e citazioni da Santa Teresa d’Avila. Testamento è un brano tanto musicalmente piacevole e leggero quanto liricamente denso, nel suo sincretismo che unisce e fornisce gli spunti più vari (si va da “Lascio i miei esercizi sulla respirazione / Cristo nei Vangeli parla di reincarnazione” all’Ulisse dantesco, passando per “l’odore che davano gli asparagi all’urina”). Quand’ero giovane, retta dall’Hammond di Carlo Boccadoro e dagli archi, è una canzone autobiografica, un racconto coinvolgente in cui l’autore rievoca gli anni passati con ironia e senza rimpianti (“Viva la gioventù, che fortunatamente passa”) e con le idee ben chiare sul presente (“Dobbiamo seguire la nostra coscienza e le sue norme”). Eri con me, con una bella base di synth e archi, è più rock; sicuramente degno di nota l’amalgama di gravità e serenità del testo (con citazione del mistico indiano Ramana Maharshi: “Ciò che deve accadere, accadrà / perché è già accaduto!”). Si arriva poi al primo singolo dell’album, Passacaglia, “libero adattamento” (per usare le parole di Battiato) del brano “Passacaglia della vita” del compositore barocco Stefano Landi (1587-1639): pezzo orecchiabilissimo, non lontano dal Battiato synthpop degli anni ’80 e al tempo stesso capace di veicolare contenuti tutt’altro che frivoli (del resto questa, più che una novità, è una delle caratteristiche più importanti, e migliori, del cantautore catanese da più di trent’anni a oggi). Anche La polvere del branco è un buon brano, a tratti più riflessivo a tratti più trascinante; il titolo è già di per sé eloquente circa le tematiche che affronta. Caliti junku si muove tra pop, classica (con citazioni di Gluck) e un finale decisamente più rock. Preme sottolinearne in particolare i versi finali: “The world outside is insane, it’s full of evils / Without wasting time, we take refuge / in the empty essence”, vera e propria chiave di lettura lirica del disco. In “Apriti Sesamo” domina infatti una volontà di trascendenza, di serenità interiore, di distacco dalle “cose del mondo” e trovano poco o nessuno spazio tematiche “politico-sociali” o invettive di vario tipo. Battiato non intende certo trascurare la realtà, negarla o isolarsi dal mondo (ricordiamo che è autore di canzoni come “Povera patria” o, più recentemente, “Inneres Auge”) e, anzi, ha le idee ben chiare su quel che succede in Italia e nel mondo (si leggano interviste, articoli e interventi anche di questi ultimissimi giorni); semplicemente cerca nell’arte, nella musica in questo caso, una via per esprimersi su qualcosa di diverso, meno contingente, più profondo, più vicino allo “spirito” che al “corpo”. La successiva Aurora, con testo tratto dal poeta arabo-sicliano Ibn Hamdis (1056-1133), è un pezzo dal forte lirismo ma musicalmente piuttosto piatto e monocorde. Il serpente è una ballata retta da piano e archi che ricorda vagamente la già citata, storica, “Povera patria”, ma che lascia intravedere qualche speranza in più (“Il denaro striscia come il serpente […] ma da qualche parte un uomo nuovo sta nascendo”). Si chiude con la title-track, pezzo che rievoca la storia di Alì Babà e i Quaranta Ladroni (da “Le mille e una notte”), con richiami alla suite sinfonica “Sherazade” del compositore russo Nikolai Rimsky-Korsakov; conclusione in cui si avverte il piacere di Battiato di congedarsi dall’ascoltatore raccontandogli, semplicemente, una fiaba. Lo ripetiamo: “Apriti Sesamo” è un disco importante, ben fatto e che non mancherà di raccogliere consensi tra i fan di Battiato. Gli si potrebbe forse imputare un’eccessiva omogeneità, l’assenza di varietà fra tracce mediamente di alto livello ma prive di veri, clamorosi picchi; al tempo stesso però, in quelle che possono essere viste come critiche, sta anche uno dei punti di forza del disco: il suo essere coeso, non dispersivo, dotato di un’identità precisa e riconoscibile. Un disco che ci conferma, una volta di più, il valore assoluto del “Maestro”.
(2012, Universal)
01 Un irresistibile richiamo
02 Testamento
03 Quand’ero giovane
04 Eri con me
05 Passacaglia
06 La polvere del branco
07 Caliti junku
08 Aurora
09 Il serpente
10 Apriti Sesamo
A cura di Davide Zanini