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26 Gennaio 2000: l’ultima battaglia dei Rage Against The Machine

Photo Credit: Sleep Now In The Fire / Video

Incendiare il presente e aspettare la cenere. I dread muscolari di Zack De La Rocha rimbalzano sul cielo bianco di New York. È il 26 Gennaio del 2000, sono le due del pomeriggio. Nello skyline ci sono ancora le torri, il millennio è appena iniziato ed è una specie di imbuto però al contrario: ci si passa stretti per attraversarlo, e poi si apre a un luogo ignoto, gigantesco, imprevedibile, in cui le battaglie sono tante e i bersagli indossano maschere sempre diverse. Non come prima che il cattivo aveva un volto ben identificato. Il mondo col 2 davanti mette sul piatto una smisurata gamma di impurità su cui anche i Rage Against The Machine vanno a sbattere con la crisi e lo scioglimento dell’Ottobre del 2000.

Quel 26 Gennaio quindi è l’ultimo atto della loro lotta, spettacolare come un tumulto, guizzante come la scia di una molotv. A New York è un mercoledì di Borsa e c’è la confusione di inizio operazioni. Il New York Stock Exchange è un palazzo in stile neoclassico di inizio secolo con facciata di marmo e frontone in gesso rappresentante il commercio. È sovrastato alle spalle dai grattacieli e ha la severità di luogo sacro del profano. Si trova all’incrocio tra Broad Street e Wall Street. Di fronte invece ecco le colonne doriche dell’edificio della Federal Hall, anche questo di ispirazione classica ma decisamente più minimale. È lì che fanno irruzione i Rage Against The Machine, schizzando rapidi sui gradini sporchi di neve.

De La Rocha è austero con una camicia blu scuro, Tom Morello veste il suo solito berretto, ha una stella rossa cucita sul petto e un’espressione di estasi. Brad Wilk da dietro la batteria dimena un cappello da montagna con paraorecchie di pelo, Tim Commerford sfida il freddo indossando una canotta gialla con la scritta Cccp. Sleep Now In The Fire parte a razzo con il suo riff guerrigliero che non bussa per entrare. È come l’incedere di un corteo, inesorabile come un urlo che spezza il silenzio. La folla si accalca. Ai piedi dei RATM, curiosi, gente che arriva da ogni punto di Manhattan, i poliziotti non sanno bene come comportarsi. Nessuno aveva mai profanato la Borsa. Nessuno lo aveva mai pensato come luogo da contestare. Dall’angolo di Wall Street iniziano ad avvicinarsi anche i broker in doppiopetto. Sono gli uomini più furbi del pianeta ma non è chiaro se intendono che le parole di De La Rocha, “The world is my expense / The cost of my desire”, siano destinate proprio a loro, tanto è vero che iniziano a saltare entusiasti alle bordate di Morello.

Come si diceva, la battaglia d’altro secolo dei RATM presuppone un nemico preciso, in un luogo fisico preciso. Un nemico che veste completi da cinquecento dollari, tiene mazzette di banconote in fermasoldi in oro stipati in tasca, sfoggia capelli gellati e ventiquattrore piene di scartoffie. Una uniforme specifica, anzi una tonaca per quelli che sono i sacerdoti del capitalismo internazionale e della globalizzazione, parola che trova spazio sui giornali e che deflagra come una bomba a cavallo dei due secoli. È la battaglia che aveva sconquassato Seattle nel Novembre del 1999 e quella “di Los Angeles”, titolo del terzo disco dei Rage Against The Machine.

Sopra la scalinata a Wall Street ora i Rage Against The Machine si dimenano come una cane rabbioso. Attorno c’è l’America pre 11 Settembre: forte, fortissima, inscalfibile, presuntuosa, avida. Non ci sono cellulari, nessuno sa quello che sta succedendo se non i presenti. C’è solo la telecamera di un signore con occhialini rotondi, camicia a quadri e capelli disordinati. È il regista Michael Moore che inizia a litigare con gli sbirri e che a fine esibizione viene arrestato. Arrivano i manganelli, gli idranti, la faccia bronzea di George Washington è pensierosa, ha un mantello di neve sulle spalle e qualche piccione appollaiato sulla punta delle dita. Il videoclip di Sleep Now In The Fire è un compendio di tecnica di montaggio del periodo con immagini del blitz alla Borsa intervallate con scene da quiz “Chi vuol essere milionario”.

È l’ultima battaglia dei Rage Against The Machine. Collassati come il mondo che mutava attorno a loro. Nel videoclip di Moore, anche se solo per un fotogramma, si vede un uomo con in mano un cartello con su scritto “Trump For President 2000”. Venticinque anni dopo siamo al secondo mandato di Trump, nel paese dei mille mostri, dei mille nemici. E con la saracinesca che viene abbassata come metafora di un tempo che fu e di uno che inizia. Una ferraglia che scende e crepa, che scende e crepa. Poi una campana. Fine.

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