È esistito un decennio, quello compreso tra il 1989 e il 2001, tra la caduta del Muro di Berlino e l’attacco alle Torri Gemelle, in cui all’ascoltatore medio del mondo industrializzato fu data la possibilità di partecipare fattivamente alla creazione di quello che in molti definiscono l’ultimo vero movimento musicale. Il britpop e tutti i suoi gruppi, dai precursori come Ride e Stone Roses, ai suoi protagonisti Suede, Pulp, The Verve, Supergrass, Travis, Embrace, fece divampare una battaglia che a descriverla oggi fa sorridere non poco, e non per la nostalgia. Se “The Battle Of Britpop” fu la saga, rimpolpata a suon di insulti più che di vendite, tra i londinesi benestanti Blur e i mancuniani Oasis, The Great Escape dei primi fu una delle esplosioni di quel decennio infuocato, l’ultima per quanto riguarda la band di Londra.
Ma andiamo con ordine: quando gli Oasis debuttavano sul mercato inglese, con 100.000 copie vendute in soli quattro giorni di “Definitely Maybe” (1994), i Blur avevano alle spalle tre album, “Leisure” (1991), “Modern Life Is Rubbish” (1993) e “Parklife” (1994), nonché il favore della stampa inglese e un’autorità musicale pressoché indiscussa. La data di inizio del conflitto, il 14 Agosto 1995, coincide con l’uscita di Country House, primo singolo di “The Great Escape”, da un lato e di “Roll With It”, tratto da “(What’s The Story) Morning Glory?”, dall’altro. Come si concluse lo scontro del secolo è cosa nota – Country House vinse su “Roll With It” ma si vociferò di un errore nei codici a barre che impedì il corretto conteggio delle vendite, mentre “(What’s The Story) Morning Glory?” servì molto più che a risollevare le sorti economiche della Creation.
Il dato su cui all’epoca non si ragionò molto, se non per poi fare ammenda a posteriori, fu la differenza diametrale tra i due gruppi e l’enorme mole di materiale contenuto in “The Great Escape”. “So the story begins…”, così si entra nel mondo di Damon Albarn, ancor più che di James, Graham, Coxon e Rowntree, un disprezzo costante verso il consumo, l’ignoranza e la superficialità della middle class inglese, di qualsiasi età raccontato, cantato, recitato e suonato con uno stile asciutto e riconoscibile ancora oggi, nonostante l’invasione di gruppi affini al genere. Un rock-pop a volte grezzo, altre barocco, contornato dalla produzione asciutta di Stephen Street; tracce con melodie semplici ma non convenzionali, come non convenzionale si è rivelato ogni progetto manipolato da Albarn.
Furono cinque le tracce estratte dal disco, fatte uscire tra Agosto del 1995 (Country House) e Maggio 1996 (It Could Be You), in un tempo in cui l’uscita del singolo era ancora una piccola epifania, destinata a far perdurare gli effetti del disco il più a lungo possibile. Stereotypes, Country House, Charmless Man, Top Man, He Thought Of Cars, The Universal, Entertain Me sono tutte contornate da stati depressivi e da una serie di stereotipi riferibili all’uomo medio, arrogante, solo, schiavo del denaro e della perfezione esteriore, alla ricerca del lusso a tutti i costi, ma senza un briciolo di stile. “The Great Escape” è un disco nato dall’insofferenza della band anche nei confronti dell’appartenenza forzata al britpop, da cui Albarn e James speravano di affrancarsi al più presto, ma il cui risultato non fu soddisfacente per nessun membro del gruppo. Oltre Albarn, che rinnegò a più riprese l’album, definendolo come uno dei peggiori della sua carriera, neanche Coxon nascondeva il disappunto per la cifra stilistica raggiunta dal gruppo, a suo dire poco ricercata e fin troppo educata.
Persino il titolo fu una forzatura, suggerita poco prima della distribuzione da Justine Frischmann (frontwoman delle Elastica e compagna di Albarn, in quel periodo): “Damon voleva chiamarlo ‘London’ ma era un disco finto, senz’anima e irritante, fin troppo triste per un titolo del genere”. In totale controtendenza, la stampa britannica gridò al miracolo, definendolo un capolavoro, un album compiuto, sontuoso, ispirato, dipingendo i Blur all’apice della loro potenza creativa. Anche in questo senso, “The Great Escape” funzionò da cartina di tornasole rivelando l’estrema volubilità della critica musicale inglese che, appena fiutato il potenziale di vendita di “(What’s The Story) Morning Glory?”, non ci pensò due volte a soppiantare i quattro londinesi per diventare cittadina onoraria di Manchester. Dopo “The Great Escape” e all’apice del successo, i Blur riuscirono davvero a fuggire dalla follia di una scena musicale che di lì a poco si sarebbe sgretolata. L’omonimo album prima (1997) e “13” poi (1999) iniziarono il pubblico alla nuova era dei Blur, sperimentatrice e molto più ostica rispetto al passato.
Sono trascorsi venticinque anni dall’uscita di “The Great Escape” e una manciata di tempo in più dal passaggio di un genere che prometteva di cambiare il corso degli eventi. Gli adolescenti cresciuti sotto quell’ala protettrice fatta di chitarre, melodie catchy e accento britannico sono diventati adulti e buona parte di loro si sono trasformati a loro volta in Charmless Man post 2000. Solo due entità hanno resistito, in termini di vendite e di dignità personale: i Radiohead, inglesi di nascita ma avulsi da sempre dal britpop e Damon Albarn, artista geniale e ricercato, riuscito nell’intento di non trasformarsi nella triste caricatura di se stesso.
DATA D’USCITA: 11 Settembre 1995
ETICHETTA: Food / Virgin