Lo guardi. Ha la solita t-shirt, la solita camicia a maniche corte. Le sue braccia sono perlate di sudore mentre imbraccia la chitarra. Canta: “Così va il mondo, non puoi mai sapere dove riporre la tua fede e dove ti porterà” e mentre lo fa il collo gli fa una strana rotazione all’indietro come a subire il peso dei pensieri e del tempo. Perché Eddie Vedder alle spalle ha un’avventura incredibile da raccontare: di musica, di salti nel vuoto, di alti e di bassi. Di amici scomparsi, di armonie venute fuori dal cuore dei suoi campi immaginari. E di fronte a lui, eccolo: un enorme raccolto di 50 mila frutti. Noi.
Sì, Eddie ha seminato tanto nella sua carriera e oggi raccoglie (ci raccoglie). Per davvero, eh! Non come altri fanno credere. Il pubblico di Vedder è vero, è fatto di particelle vive. Una osmosi liquida. Noi siamo quel campo di frutta che è cresciuto nel frattempo. Semi buoni o cattivi? Entrambe le cose, ma la fioritura è impressionante. Così come quella di Eddie nella dimensione di artista solista e solo.
Non c’è la band alle sue spalle. C’è solo lui. Due ore e mezza di canzoni, sudate, aperte come un fiore sbocciato. Un palco tutto per sé con quattro cose a fargli compagnia: un proiettore vintage, una valigia piena di adesivi, una bottiglia di vino. E, da solo, è un artista diverso da quello che si vede normalmente con i Pearl Jam. È libero, innamorato di quello che fa, è una stella, è una luce bianca brillantissima. La sua voce impressionante con cui spolvera le nuvole nere passa addirittura in secondo piano rispetto alle qualità impressionanti di musicista: la forza del suo suono, l’ukulele nostalgico, il banjo melanconico, le chitarre ora aggressive poi tenere.
Un artista capace di commuoversi facendosi strozzare il canto dal ricordo di un amico finito male forse proprio perché aveva smarrito la via luminosa della musica intesa come cosa fisiologica, necessaria. Quello che è per Eddie.
Gli artisti si possono raccontare in mille modi: ne si può elencare la carriera, si può descriverne il contesto o radiografarne il percorso. Con Eddie Vedder è tutto più complicato perché… voi cosa fate quando vedete sfrecciare una stella nel cielo d’estate? Ve lo dico io: nulla. L’ammirate e basta. A naso in su, senza parole e con qualche speranza. E una stella è caduta realmente sui cieli di Firenze durante l’esibizione di Eddie come a sancirne la guida, la traiettoria di una cometa. O qualcosa di ancora più ancestrale.
Eccoci, siamo noi. Siamo i girasoli che hanno girato il collo guidando lo sguardo verso il palco. Lì c’era Eddie Vedder. E noi lo seguiamo. Ancora una volta.
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