È tutto costruito a regola d’arte. L’intimità c’è nelle intenzioni e nella realizzazione, nonostante sia un concerto in streaming – non live, tuttavia – per paganti atipici, seduti dietro una scrivania o semplicemente accovacciati sul proprio letto e non nel luogo dove si consuma la magia.
Questi novanta minuti iniziano con questa immagine: il poeta nero è seduto, con un taccuino in mano. Si alza e nel frattempo scorrono parole: un susseguirsi di pensieri sparsi che accompagnano il Re Inchiostro verso la sua postazione. Fogli sparsi a terra. Spartiti, quaderni e agende sul pianoforte. Una fotografia degna di Oscar (Robbie Ryan) e un luogo ultraterreno: questo stanzone infinito dell’Alexandra Palace in cui scorrono la vita, la morte e tante domande sul perché dell’esistenza.
I brani hanno una veste nuova, agghindati per il dì di festa: nulla di sfarzoso, sia chiaro, sobri ed essenziali come il completo di Cave. Pesca dal suo infinito canzoniere: ci sono sia i Bad Seeds sia i Grinderman (Palaces Of Montezuma al piano è una di quelle cose che fanno bene al cuore); ci sono gli esordi e le ultime cose, c’è anche un brano inedito (Euthanasia), insomma c’è tutto il microcosmo aulico, nero, tossico e redento di Cave. Nonostante la solitudine dell’Idiot Prayer, Cave non riesce a essere inespressivo: guarda fisso gli spartiti e i suoi diari e fa trasparire continui sussulti di emotività.
È una messa pagana a cui sia il fan sia il curioso sia l’appassionato non possono mancare. Una liturgia che gonfia i cuori e appaga gli animi inquieti. È un gigante Nick e lo dimostra in ogni singolo istante dell’ora e mezza scarsa di live. La diapositiva finale è eterea, dopo aver suonato e cantato l’onirica Galleon Ship, Cave si alza e si avvia verso la luce, sparendo in questo fascio di luce che sa di catarsi.