Kurt è sorridente. Alle sue spalle lo skyline di Seattle è color grigio perla come sempre. Kurt invece veste una maglia marrone sovrastata da una camicia a quadri celesti. È rilassato e i suoi capelli sono stranamente addomesticati. Come stranamente addomesticato è il suo umore: pacato, disponibile. C’è da rispondere alle domande di un’intervista televisiva e lui non è mai stato un campione di certe cose, ma quella volta no. Quella volta si dà. Risponde. Soprattutto quando l’intervistatrice gli pone una domanda che forse non si aspettava. “Kurt, qual è il tuo libro preferito?”.
Non indugia molto, reagisce immediatamente: “È ‘Profumo’ di Patrick Süskind, lo avrò letto almeno dieci volte e non riesco a smettere, ce l’ho sempre con me”. La telecamera stringe sul volto che ora perde un po’ dell’iniziale rilassatezza. Le sopracciglia gli si aggrottano, un smorfia irrigidisce le mascelle. Gli occhi si serrano a fessura facendo solo intravedere la lucentezza dell’azzurro. “Io sono un ipocondriaco e quel libro mi fa venire voglia di tagliarmi il naso” – continua. Poi finalmente ne racconta la trama: “Si svolge in Francia, il protagonista è un apprendista profumiere che, disgustato dagli essere umani, decide di fuggire in zone rurali, dove ci sono solo boschi, ogni volta che sente l’odore di un essere umano si nasconde disgustato”. Pausa. Stacco teatrale. “E io, in un certo senso, lo capisco”. Tiro di sigaretta e sorriso corposo.
Kurt Cobain e il profumo, come in una specie di corrispondenza psicoanalitica involontaria. Kurt Cobain e l’odore degli esseri umani: quasi un titolo, più di una didascalia, evidentemente un manifesto quando, il 24 Settembre del 1991, Nevermind esce nei negozi e il caposaldo che lo apre, Smells Like Teen Spirit, diventa una sorta di paradigma del vivere. Un riff punta di pietra appuntita, un calabrone per basso marca Novoselic, il ritmo di Grohl, e la voce di Kurt che è l’eruzione di un vulcano. Il tutto sferzato da una puzza penetrante di zolfo che, se qualcuno che ci si approccia non ne sente l’impatto olfattivo, vuol dire o che gli hanno affettato il naso o che è morto.
Il titolo di Smells Like Teen Spirit, come molti sanno, nasce da un gioco tra Kurt e Kathleen Hanna, la cantante delle Bikini Kill. Dopo una colossale sbronza assieme, Kathleen scrive con un pennarello s’una parete di casa Cobain “Kurt puzza di teen spirit”, facendo riferimento a un deodorante in voga in quel periodo. Ma Kurt non usava il Teen Spirit, non se le spruzzava quelle schifezze. Lo spirito adolescenziale, in compenso, lo teneva in alto perché era ciò che gli permetteva di esplodere ogni volta sopra a un palco. Una specie di palla di stoffa innaffiata di benzina. L’odore acre che ti si conficca in gola. Quel piccolo angelo spettinato e biondo che urla come un condannato a morte a rappresentare il fiammifero cui fare lo scalpo per appiccare l’incendio.
Nel testo di Smells Like Teen Spirit Cobain a un certo punto dice: “Mi sento stupido e contagioso, ecco qui, intrattienici”. Un verso che però non emana alcun odore. Se Kurt sopra il palco (e nel videoclip di Sam Bayer) è il fustigatore, l’accendino di una folla impazzita, dentro è disinfettato, inodore. Quasi una negazione dell’odore. Ma come fa Kurt a non sentire la puzza di sudore, l’olezzo di gomma delle scarpe da ginnastica, il nauseabondo aroma di chewingum alla ciliegia o il ristagnante fetore di gel per capelli di quella massa di adolescenti che gli si aggrovigliano ai piedi? È impossibile! C’è anche l’asfissiante sentore di cavi che stridono, il ripugnante tanfo di scope e secchi, lo spiazzante taglio di spray per ambiente o il miasma proveniente dai cessi.
Tutto in una sala stracolma di esseri umani che lo osannano come il Dio dello spirito adolescenziale. No, Kurt non sente nulla: strilla, distrugge l’indistruttibile, si fa aspirare energie dall’aspirapolvere del caos, ma non sente nulla. Il suo sguardo è il risultato di un’esplosione parziale, un colpo a salve. Sempre qualcosa lasciato indietro, mai uno slancio senza strascichi. Un enorme prato fiorito senza la possibilità di sentirne i profumi. Un minuscolo camerino prima di un concerto senza che il fetore di umidità arrivi a schiaffeggiarti a dovere. Al pari della paura.
Perché forse a Kurt gli hanno affettato il naso, forse è morto, o più semplicemente ha deciso di abbandonare tutto come l’apprendista profumiere. E non è la trama di un libro, è l’essenza più profonda di ciò che sono stati i Nirvana.