Se nella storia del rock c’è una copertina che, più di qualsiasi altra, rappresenta al 100% tanto il contenuto del disco cui appartiene quanto la band stessa che gli ha dato vita, questa è con poco margine di dubbio quella di Welcome To Sky Valley. Una strada polverosa che si perde all’orizzonte, il panorama brullo che solo un deserto contaminato dall’uomo può offrire, il cielo rosso dei tramonti californiani e un cartello stradale in primo piano, di quelli che se ne trovano a migliaia sulle highway americane. Ecco, i Kyuss che nel 1994 escono con il loro terzo lavoro in studio hanno alle spalle quel “Blues For The Red Sun” che nel 1992 li aveva consacrati pilastri dello stoner, tanto da non sentire nemmeno il bisogno di dare un titolo a un nuovo disco che negli intenti doveva essere semplicemente omonimo. Ma, come si diceva, la copertina ha giocato fin da subito un ruolo determinante, con quel cartello che è diventato un’involontaria assegnazione di generalità.
Nick Oliveri, che col suo basso granitico aveva segnato gli esordi della band, si tira fuori (o viene fatto fuori, a seconda di come la si vuole vedere) dalla formazione californiana, sostituito in corso d’opera da Scott Reeder. John Garcia, Josh Homme e Brant Bjork sapevano perfettamente che il tocco di Oliveri non era un semplice complemento della loro musica, così per “Welcome To Sky Valley” decidono di puntare tutto sugli altri punti di forza della loro proposta sonora: psichedelia desertica, riff tributo ai maestri Black Sabbath e groove ossessivi intrisi di peyote. Il risultato gli dà ragione sotto tutti i punti di vista, perché l’attacco mostruoso di Gardenia – e quindi del disco – è una delle cose più violente mai partorite dai Kyuss, l’incedere lisergico di Space Cadet trasuda sabbia del deserto californiano da ogni nota, 100 Degrees ha il tiro al fulmicotone che i Kyuss avevano già messo in mostra in passato e che ne aveva decretato la conquista del trono di un’intera scena (la cosiddetta “scena di Palm Desert”), il tribalismo possente di Demon Cleaner porta la voce di Garcia in una dimensione parallela che farà scuola, Conan Troutman e Whitewater pongono le basi del versante più heavy dello stoner. Insomma, una sequenza di dieci tracce – che originariamente dovevano essere suddivise in sole tre lunghe e circolari composizioni – che masticano e risputano fuori tutto l’immaginario dipinto dai Kyuss nei precedenti due dischi.
La produzione di Chris Goss, già nella stanza dei bottoni anche per il precedente “Blues For The Red Sun”, gioca anche qui un ruolo di primissimo piano, contribuendo enormemente alla cristallizzazione su disco di quelle particolarissime session tra cactus e rocce durante le quali i Kyuss – e decine di altre band del posto – avevano messo a punto il proprio sound: l’album suona così più secco che mai, più riverberato che mai, annegato in un mare che non è fatto d’acqua salata ma di finissima sabbia infuocata. Con “Welcome To Sky Valley” i Kyuss raggiungono l’apice della loro breve ma seminale parabola, che di lì a un paio d’anni sarebbe implosa lasciando però in eredità ancora un disco (il non imprescindibile “…And The Circus Leaves Town” del 1995) ma soprattutto un dettagliato manuale d’istruzioni per quanti da quel momento in poi avrebbero scelto di approcciarsi a quel pastone di rock, psichedelia e metal.
DATA D’USCITA: 28 Giugno 1994
ETICHETTA: Elektra / Chameleon