Quante vite ha avuto David Bowie? Quante persone diverse è stato David Bowie? Chi era, anzi, chi è David Bowie? C’è un passaggio di Moonage Daydream, il nuovo docu-film realizzato da Brett Morgen (già in passato dietro al progetto “Kurt Cobain: Montage Of Heck”), in cui Bowie risponde in modo emblematico a un giornalista che gli chiede come avrebbe definito se stesso: “Un collezionista”. Nello specifico Bowie intendeva un collezionista di personalità, quelle che ha messo in risalto nel corso della sua carriera e vita pubblica, ma a pensarci bene è una definizione che calza a pennello all’intera parabola artistica e umana del Duca Bianco, uno che ha saputo pescare e cogliere input in giro per il mondo anche e soprattutto in luoghi che detestava (come la città di Los Angeles), nel lavoro di altri artisti, nei bar frequentati dalla gente comune, filtrando il tutto attraverso la sua visionaria lente. Un collezionista di vita/e, sempre pronto a trasporle in musica, sì, ma anche in parole, immagini, sculture, dipinti, teatro.
Lontano dalla classica idea di biopic cui siamo abituati, “Moonage Daydream” ripercorre in modo cronologico − ma discostandosene spesso − il cammino e l’evoluzione dell’uomo Bowie, i suoi punti di vista su religione, società, arte e cultura, in un percorso che tenta di dare (riuscendoci come forse mai prima) un quadro esaustivo del pensiero di un personaggio/uomo praticamente impossibile da inquadrare del tutto. Attraverso estratti da interviste più e meno note e grazie a un uso puntuale di un’innumerevole quantità di immagini (gran parte delle quali inedite e dall’impressionante qualità, soprattutto quelle live più datate), Morgen ha provato a decifrare un artista unico nell’unico modo in cui era possibile farlo, ovvero lasciando a lui stesso il compito di farsi comprendere.
L’aspetto più sorprendente e proprio per questo di maggior interesse dell’opera sta appunto nel modo in cui Morgen ha imbastito il racconto, che avviene solo per immagini e solo per bocca dello stesso Bowie, senza narratori di sorta. E la musica − circostanza questa inaspettata, al cospetto di una produzione così ampia e rilevante come quella di Bowie − finisce per essere in “Moonage Daydream” quasi un corollario (nonostante se ne sia occupato direttamente l’amico e storico collaboratore Tony Visconti), colonna sonora di una vita più che testimonianza concreta di quella stessa vita. Non si parla mai espressamente di questo o quel brano/album, non viene mai spiegato dove, come, quando e perché quel pezzo è nato o quel disco è stato registrato. Insomma, non viene lasciato alcuno spazio a digressioni prettamente didascaliche, tanto che nessun altro collega/amico, neanche Iggy Pop e Lou Reed che con Bowie hanno condiviso e fatto la Storia, trova posto all’interno della narrazione. C’è solo ed esclusivamente David Bowie, con i suoi alter ego, le sue innumerevoli reincarnazioni, i suoi look e le sue visioni ai confini del sogno (ed effettivamente l’intero “Moonage Daydream” ha le sembianze anche visive di un lungo trip psichedelico). Solo sul finale c’è spazio per la moglie Iman, l’apertura definitiva e salvifica di Bowie al concetto di amore.
Da quando Bowie ha cambiato forma, il 10 Gennaio 2016, siamo stati piacevolmente tempestati da una quantità davvero mastodontica di materiale, confluito in mostre di memorabilia, mostre fotografiche, speciali televisivi, documentari, approfondimenti vari ed eventuali, segno evidente di come Bowie fosse in primis un collezionista di se stesso, di ciò che anche materialmente era stato nel corso degli anni e delle sue vite. Ma ciò che ha fatto Brett Morgen va oltre, perché avendo avuto accesso diretto agli archivi privati di Bowie, gestiti direttamente dalla David Bowie Estate, è riuscito a mettere in piedi in 140 minuti una delle testimonianza più complete e inedite dell’uomo Bowie prima che del personaggio, soddisfacendo così al 100% anche il palato di quanti (tantissimi) credevano di aver visto e ascoltato tutto, ma proprio tutto, riguardo a un artista che ha anticipato di qualche decennio il XXI secolo (come viene significativamente detto a un certo punto di “Moonage Daydream”).