La suonatrice di hammond
Cesare Basile
“Closet meraviglia”, 2001
Il locale è vuoto, come lo stomaco in cui s’adagia un bicchiere di distillato. I tavoli sono sbeccati, grumi di polvere s’accalcano ai piedi del bancone. È notte, le luci sono mortifere. Balbetta un lampadario sopra al palco da dove arriva un filo di musica e una ventata di profumo. Lassù, una donna sta suonando un organo hammond. Ha i piedi scalzi. Nessuno la conosce. Nessuno ne può vedere il volto, al massimo qualche particella che si libera dalla chioma a ogni colpo di collo. La notte è uno schifo, porta il gusto amaro di un drink di basso livello. La notte è un sonnifero, sbadigliante tra i posaceneri pieni di sigarette raggrinzite. Catania ha un cuore cavo, come lo stomaco in cui s’adagia l’ennesimo orrendo bicchiere. Ma quella donna, quella donna è un cortocircuito. Con quella spina dorsale che s’inarca e disegna desideri. Si muove al ritmo della sua musica, pesta i pedali e spezza la notte. Assolo, dopo assolo. L’organo vola verso l’incrocio degli angoli, scoppia una lampadina, lei non si ferma, è una mantide religiosa: fa innamorare a ogni movimento dita e poi uccide. Fa rinnamorare e uccide di nuovo. Alle sue spalle cadono sedie, bicchieri, uomini. Tutti a implorarla: “Suona ancora!”. La notte scorre fuori. Tra qualche minuto tutto finirà nel peggiore dei modi: come in ogni fredda realtà.