Lover, You Should’ve Come Over
Jeff Buckley
“Grace”, 1994
Questo cavolo di organo. Lo senti vibrare in lontananza mentre fuori piove. Laggiù un corteo funebre avanza lento “con le scarpe piene d’acqua”. L’assenza. Quanto è dolorosa l’assenza. L’assenza di Jeff Buckley che no… non ne verrà mai più un altro così. E fa male. Fa male pensare che non ci saranno altri pezzi della sua voce incantevole e della sua musica gonfia come una nuvola. In questa canzone Jeff parla dell’assenza di qualcuno, di una Lei, di un amore. Il suo naso a punta è appiccicato al vetro della finestra. E l’amore è puro delirio, ti fa entrare in una dimensione a parte. L’amore è il crocevia: “Sono troppo giovane per resistere (all’amore), ma troppo vecchio per liberarmi”. L’amore è lo sconquasso del tuo mondo: “Il mio regno per un bacio sulla tua spalla”, “Tutte le mie ricchezze per i suoi sorrisi”. Jeff brucia. Si strugge. Non riesce a rassegnarsi alla solitudine: “A volte un uomo deve svegliarsi per scoprire che non ha nessuno”. Una lampada balbetta, “la stanza è desolata”, vuota. E sempre questo organo che vibra. E sempre questi ululati alla luna. E noi? E noi che abbiamo amato Jeff? Anche noi ardiamo. Anche noi siamo in una stanza a struggerci. Anche noi siamo troppo giovani e troppo vecchi. Anche noi daremmo “il sangue per la dolcezza del suo viso”. Come amanti, feriti, uccisi dalla sua assenza. Perché l’amore è anche una canzone e lo è definitivamente. “Come una lacrima sospesa per sempre nell’anima”.