NYC
Interpol
“Turn On The Bright Lights”, 2002
Quando prendi una coltellata nel costato, ti pieghi e credi sia la fine. Lo pensava anche New York in quei giorni in cui tutto fu avvolto da una nebbia di terra e polvere, lo pensava quando il Settembre del 2001 si pulì la lama sulla sua schiena. Gli Interpol vestono come crooner anni ‘50. Hanno comprato quei completi scuri in alcuni negozietti dell’East Village. Giacca, pantaloni, camicia, tutto appuntato con spille da balia. Hanno poco più di vent’anni e non si meritano di respirare quella polvere. Vogliono fare rock’n’roll, vogliono stare bene, vogliono ritornare a sollevare lo sguardo verso lo skyline e rivedere il cielo. È per questo che scrivono il debutto “Turn On The Bright Lights” (2002) e per questo che, all’interno, dedicano una canzone alla loro città. NYC si apre con un arpeggio di chitarra nerissimo. Qualcosa di “new wave revival”, come molti si affrettarono a scrivere in quei giorni lì. “Qualcosa à la Joy Division”, altro must della critica. Paul Banks ha un vocione baritonale ed è per questo che il povero fantasma di Ian Curtis è rievocato molto in quel periodo. Ma Paul canta qualcosa che Ian non avrebbe mai cantato: si rivolge alla sua New York, dice. “Sono stufo di spendere queste notti solitarie (…) La metropolitana è un porno, i (tuoi) marciapiedi sono un disastro (…) So che mi hai sostenuto per molto tempo (…) ma ora tocca a me accendere le luci brillanti”. Ecco: le luci brillanti. Come nel titolo del disco e come nel refrain di questa canzone. Ecco cosa non avrebbe mai cantato Ian Curtis così annegato nella sua oscurità. Un concetto che Banks riprenderà anche in Next Exit dell’album successivo “Antics” (2004), dove il suo desiderio è “rendere questo posto (New York) un cuore di cui far parte”. Il tutto mentre fuori la città piange ancora polvere e caos. Ed è un “fanculo” quello degli Interpol, un’esortazione a reagire, a scuotersi, un fanculo davanti allo specchio. Come Edward Norton ne “La 25ma ora” di Spike Lee. È il 2002 pure in quel film e il protagonista Monty se la prende con New York, ma alla fine se la prende con se stesso. Perché una città felice è solo il risultato dell’insieme dei battiti della propria gente.