Ocean Rain
Echo & The Bunnymen
“Ocean Rain”, 1984
C’è una cosa che nessuno sa del porto di Liverpool. Lì non ci sono solamente container, navi e odori nauseanti. Lì vi è nascosto un segreto. Al porto di Liverpool si apre una porta verso l’altro, verso l’inconscio, un po’ come nel Lago Averno o come quei varchi vita/morte narrati dal mito. Liverpool stessa è una specie di limbo, lo dice anche la sua etimologia (liuerpul = stagno). D’altronde basta vederla dall’alto: con quella portata d’acqua che s’incunea nella terra, è un transito pauroso e attraente. Nel 1984 Ian McCulloch riflette su questo aspetto della sua città ed è per questo che per l’album Ocean Rain i suoi Echo & The Bunnymen si fanno immortalare a bordo di una barchetta all’interno di una grotta buia. La canzone che dà il titolo al disco è una navigazione sui mari densi della tristezza, è un naufragio nell’essenza del buio, dell’inquietudine. Quel mondo nascosto che solo alcuni gate possono farti scoprire, come il porto di Liverpool. Violini, gocce di pioggia grosse come pesci, la voce di Ian rotta dalla salsedine che blocca la gola, una luna enorme che guarda, sghignazza, deride, un viaggio che massacra i muscoli e che rompe di umidità le ossa. Gli Echo & The Bunnymen nel bel mezzo della loro odissea in mare, li vedi tra igloo, fuochi fatui e una navigazione incerta perché condotta dal moto di rotazione della luna. Finché, arriva una terribile pioggia d’oceano, un vortice terrificante. Gli Echo sono moribondi, la barchetta va avanti per inerzia portandoli come corpi esanimi. Ocean Rain è la fine, è l’orchestra del Titanic che suona la sciagura. “Le urla sotto le onde” sono strazianti. La barca tornerà al porto di Liverpool? Riattraverserà il varco? Ce la farà? Intanto un messaggio in bottiglia, ritrovato su una spiaggia, recita cosi:
“Tutti i marinai sul ponte all’alba
Navigando verso coste più tristi
Il tuo porto, durante le mie forti tempeste
Ospita i miei pensieri più neri”