Oh We Wait
Willard Grant Conspiracy
“Ghost Republic”, 2013
Quando Robert Fisher si è spento nel 2017, una folata di vento ha smosso le dune di sabbia in cui era scritto il suo nome. La fragilità di qualcuno non si misura col metro delle apparenze: quel volto spesso accigliato di Robert, quegli occhiali austeri, quella barba spinosa a nascondergli ogni tipo di espressione (e dolore) erano solo una parte del tutto. Ma era l’anima di Fisher, casomai, ad essere tormentata, in sospeso tra voglia di universo e drammi terreni. Con quell’eterno senso di attesa che alle volte toglie il fiato. C’è questa canzone, chiude l’album “Ghost Republic”, si intitola Oh We Wait. Dura tre minuti e contiene un solo verso ma ripetuto continuamente. “Oh, noi aspettiamo e le lacrime non scendono”: destino di un’anima in equilibrio precario, costretta nel limbo dello sconforto. Una sola frase, ma uno scenario che gli cambia alle spalle: arpeggio di chitarra che sale e scende, pizzicate di corde, un coro avvilito, un violino offeso, vento che batte sulle ferraglie. Può una canzone raccontare un’attesa? Sì che può. Robert canta l’attesa di certe lacrime che possano finalmente venire giù, per sentire qualcosa, qualsiasi cosa. Prima di allora sarà tutto precario. Come un nome scritto su una duna di sabbia.