Sunflower
Low
“Things We Lost In The Fire”, 2001
Quando s’abbassa la luce su quel campo d’erba, l’erba diventa ancora più ghiacciata. Su quel campo emergono delle montagnette, dei piccoli bozzi di terra che, sotto un metro e mezzo di concime, nascondono molti corpi passati al trattore. I Low scrivono di olocausto? Forse no. Ma c’è questa immagine che proprio non va via dalla testa. Ci sono questi campi di girasoli, gialli splendenti, che ridanno luce a terreni altrimenti avvelenati di morte. E poi ci sono Alan e Mimi Sparhawk che, con il loro dolcissimo canto a coro, si fanno prisma di una triangolazione di riflessi solari. “Quando hanno trovato il tuo corpo, c’era un’enorme X nei tuoi occhi – cantano i Low – sotto la stella di David, cento anni dietro ai miei occhi”. È l’olocausto? Forse no. Ma probabilmente sì. Di sicuro c’è che l’incedere di questa canzone è battito cardiaco vivo, presente, sanguigno. Non c’è la morte, non c’è l’angoscia, c’è casomai il sogno, l’immaginazione, quell’abbraccio leggero tra giorno e notte favorito dagli archi. E poi ci sono i girasoli. I girasoli girano il loro collo per cercare la luce del sole. Sono stati piantati dei girasoli dove prima c’era una distesa di corpi morti. Nessun’altra metafora di rinascita può essere migliore di questa.