The Black Crow
Songs: Ohia
“The Lioness”, 2000
Pizzica il palmo, poi è caldo. Un rivolo di sangue scivola verso il braccio. Ora è il bruciore a dominare insieme al freddo. Il corpo è un laboratorio aperto. Sbalzi di temperature, gonfiori, ferite aperte come squarci nel terreno, piaghe e ghiandole che pulsano. Il corpo è una pozzanghera che fermenta, è fango in movimento. Il corpo è il fratello banale della mente. Si cruccia presto, non ammette riflessioni. È un corvo con un’ala spezzata, è un pezzo di carne che si dimena. È il bagliore che ora balbetta. Jason Molina ha le mani sporche di terra, inforca una vanga per estirpare alcune erbe tossiche. Per farlo si apre una ferita sulla mano. Torna in casa e tampona il tutto con un fazzoletto. Prende la chitarra e inizia a suonare, ma la mano gli fa troppo male. Quindi tiene il canto, urlato sopra una melodia che non c’è ma che trattiene in testa. “Eravamo fulmini, ora mi sto indebolendo”. Un corvo picchia sulla sua finestra, ha un’ala spezzata, sembra sanguinare. Una bottiglia di whisky capovolta, un uomo capovolto. La sconfitta arriva sempre annunciata dal corpo, mai dalla mente.