The Man In Me
Bob Dylan
“New Morning”, 1970
Bob Dylan è morto. Bob Dylan è un fantasma. Dov’è Bob Dylan? Dopo l’incidente non è più lui, forse è solo un sosia? Tipo McCartney? Il passaggio tra ‘60 e ‘70 è sanguinoso per Bob. Da icona a dissidente il passo è breve. Da padre del folk a killer del folk, pure. Perché lui, da quando ha cantato contro la guerra e lo ha fatto con la sua chitarrina acustica, il suo cappello a falde larghe e l’armonica in bocca, non appartiene più a se stesso, ma alla storia. Ma Bob non è mai stato un genere di persona che si accontenta dell’altruismo e che alla storia avrebbe lasciato anche una moneta da mezzo dollaro. Bob è un “bastardo” o almeno è così che si vede lui, è uno a cui piace alzare lo sguardo verso il profilo delle montagne mai alle impronte dei suoi piedi sull’erba. Così scompare nel tentativo di riappropriarsi del suo corpo, della sua musica, del suo nome. Fugge in montagna, si chiude in una cascina. E riesce nell’intento perché la gente inizia a odiarlo e disprezzare tutto ciò che fa. Ma a lui non interessa. Spiando la scena dalla sua tana. Nel 1970 The Man In Me è una canzone beffarda. Si apre con un “la la la la la” quasi ubriaco, con un coretto gospel e un organo dai colori pastello. Nessun impegno, nessun senso militante, nessuna responsabilità. “L’uomo che è in me – canta Bob con voce scanzonata – farà qualsiasi cosa e in cambio vorrebbe poco: una donna come te”. Bob ha aperto la porta della sua cascina e ha dato da bere ai cani. “L’uomo che è in me – dice – a volte si nasconde per evitare di essere visto, ma solo perché non vuole trasformarsi in una macchina”. Il telefono è messo fuoriposto. Il prossimo disco può aspettare.