Touch Me I’m Sick
Mudhoney
“Superfuzz Bigmuff”, 1988
Quanto dovevano far paura quei ragazzi lì! Quelli con i jeans strappati, i capelli tagliati male e le t-shirt tre taglie più grandi. Ciondolavano per le città d’America senza una meta ben precisa, si portavano sottobraccio chitarre e mangiavano schifezze da fast food. A fine anni ’80 quelli erano i diversi, gli sregolati, gente senza un lavoro “perbene”, senza orari. Ragazzi senza bandiera, senza valori cristiani. I malati, gli zombie. Nel 1988 Mark Arm vestiva una maglietta con su scritto “loser”, portava una cascata di capelli sfibrati e anche gli altri Mudhoney nacquero per suonare il punk. È per questo che un brano come Touch Me I’m Sick, con un riff che anticipa di quasi un lustro le iconiche dissonanze di “Smells Like Teen Spirit”, è il vero inno della generazione X. “Sono malato, sono il peggiore, sono un cretino, sono marcio, non voglio vivere a lungo” – strilla Arm usando la voce come una conchiglia frantumata contro un muro. Il pezzo è veloce, corto, in poco più di due minuti offre l’immagine di un mondo impaurito, convenzionale, timoroso e, dall’altra parte, di una generazione di figli “contro”. E ce lo immaginiamo Mark avvicinarsi a questa ragazza pulitina, figlia di papà. Lei si dimena, fugge, ha il volto deformato da una smorfia. Non toccherebbe mai un tipo come lui, non si farebbe mai contagiare da un malato, perché quelli come lui sono considerati tali: dei malati. Dei tipi ripugnanti, disdicevoli. È una guerra dei mondi, è un conflitto insanabile. Ma mentre tutt’attorno la pioggia inizia a cadere fredda, mentre il fango s’alza e le macchine fanno rivoltare delle pozzanghere, Arm, il malato, si prende la sua rivincita. Guardando quella ragazza negli occhi, le fa: “Baby, vieni con me, perché se non vieni, morirai da sola”.