We Are All Made Of Stars
Moby
“18”, 2002
Quando ti crolla un grattacielo di cento piani in testa significa che il mondo ha raggiunto il culmine di significato. Quando te ne cascano due, allora, lo sconquasso è completo. L’11 Settembre del 2001 viene ufficialmente archiviata un’idea di mondo in cui la convivenza (con tutti i suoi difficili parametri) non è più concetto dato per scontato. Si rompe un patto. Si rompe l’utopia dello stare insieme. Moby a New York ci è nato e cresciuto, ma soprattutto quell’11 Settembre del 2001, mentre festeggiava il suo compleanno (nato fatalmente l’11/9 del 1965) la sua città si vedeva costretta a battere le campane a morto. Questa canzone, molto distante dalle produzioni dance ed elettroniche del periodo, è il tentativo di riportare tutto al punto di partenza. Il pezzo potrebbe venire dai quaderni di Bowie per quanto il rock agrodolce e spaziale ne segni profondamente i solchi. Siamo tutti fatti dalla stessa materia delle stelle, dice Moby, siamo corpuscoli dello stesso mondo. Una canzone pacifista con un retrogusto di (naturale) pessimismo. Basti vedere il videoclip che ne affranca l’uscita. Moby in versione astronauta immerso in quell’universo di superficialità e perdizione che è il pianeta terra (nello specifico Hollywood) tra casinò, donne succinte, centri commerciali. Siamo tutti fatti di stelle, abbracciamoci, canta Moby, ma dobbiamo meritarcelo questo privilegio.