When The Music’s Over
The Doors
“Strange Days”, 1967
Ma dove diavolo è Jim? Dove si è cacciato? Ray Manzarek e gli altri hanno la fronte perlata dal sudore. C’è un caldo folle quel settembre ed è tanto il lavoro da fare. Ci sono delle nuove canzoni dei Doors da registrare, c’è da fare un disco nuovo. Che si fa? Si suona lo stesso? “Ma Jim ha detto che vuole fare tutto in presa diretta” – c’è apprensione. “E poi chi lo sente!”. A quel punto della mattina beccare Morrison è pressoché impossibile perché, se a casa non risponde e ancora non è arrivato in sala, vuol dire che le speranze che si palesi sono minime. Ma il tempo è denaro, soprattutto il tempo di una saletta di registrazione in affitto. Così i Doors lo fanno: suonano la lunghissima When The Music’s Over senza Morrison. Alla voce ci va Manzarek e finisce così. Il pezzo è fatto. Chiuso. O meglio, manca la voce di Jim che viene incisa sopra qualche giorno dopo e non senza una montagna di polemiche (“Dai ragazzi, rifacciamola! Registriamola di nuovo” – mise il broncio il cantante). Ma gli altri resistono e quando Morrison entra in studio per registrare la sua voce, dietro al vetro siedono tutti: la band, i tecnici, gli amici. Jim parte col canto, la gente strabuzza gli occhi. Undici minuti di altalene blues, undici minuti di precipizi, urla, carezze, fatalità, miracoli, rivolte (“Vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso!” – urla in estasi). Sotto di lui rotaie infuocate di chitarre, organo spaziale, drumming da zeitgeist. Un temporale espressivo, un ottovolante di timbri vocali. Uno spettacolo d’amore e morte che finisce solo quando l’ultima goccia è distillata e l’ultima nota è suonata. ”Quando la musica finisce la luce viene spenta”. Valeva la pena aspettarlo.