Nasci nel 1982. La tua adolescenza si nutre di musica, la tua passione per la musica si nutre degli Oasis, e pur abitando in un posto non esattamente comodo per i concerti (eufemismo: si tratta della Sicilia), cerchi di organizzarti al meglio per vederli dal vivo.
Anno 1996: hai 14 anni, supplichi i tuoi genitori, hai in tasca il biglietto per la data del PalaEur a Roma, tour di “What’s The Story (Morning Glory)”, ma la data è annullata perché Noel Gallagher dà simpaticamente della “Yoko Ono” a Patsy Kensit, moglie del fratello Liam.
Anno 2000: hai 18 anni, hai in tasca il biglietto per la data del Forum di Assago. Il concerto si fa ma… Noel non c’è. Il primo concerto in assoluto degli Oasis senza il leader, sostituito dal turnista Matt Deighton. Una mancanza di professionalità e rispetto sconcertante (il nostro salta solo i concerti europei per andare a Ibiza al mare: in Inghilterra suona), concerto che è quello che è: una mezza farsa.
Anno 2002: hai 20 anni e accade tutto in pochi giorni. Con qualche mese di anticipo rispetto all’uscita ufficiale, viene leakato “Heathen Chemistry”, quinto album degli Oasis, con alcuni brani clamorosi. Esce poi fuori la notizia che la band suonerà… al Vox di Nonantola. Nessun palasport, nessuno stadio. Un buco di posto, per una band così popolare. Momentaneamente l’unica data italiana in programma. È un’altra epoca, i concerti vengono annunciati con pochissimo preavviso. È un’altra epoca: per una data simile nessun biglietto venduto online. Pochi punti fisici per la prevendita, ma arriva la telefonata di un amico di Firenze, che va appositamente a Bologna per procurarsi gli agognati biglietti. Uno è per te. Avresti un esame universitario qualche giorno prima del concerto, e anche piuttosto importante. Hai così tanta paura che le due cose si incrocino, che studi come un matto e ti iscrivi per primo all’appello, prendendo l’unico 30 e lode della tua carriera universitaria: forse i concerti andrebbero usati come incentivi allo studio.
Giorno 20 Giugno, prendo il treno da Siracusa per Modena con cambio a Napoli. Un viaggio della speranza, lento, lentissimo. Fa già caldo. A Napoli salgono su due amici di chat, all’epoca si usava mIRC, ed era tutto un fiorire di gruppi legati a questa o a quella band. Uno dei due amici in questione avrebbe pure lui un esame, quello di maturità, ma mi racconta che ha risolto la faccenda in altra maniera: non si presenterà all’esame. Ebbene sì, perderà l’anno per andare a vedere gli Oasis a Nonantola, un anno in cambio di una notte magica: questo era per noi quel concerto. L’hype è incontenibile, è a mille, passiamo la notte nel vagone parlando di musica. Dormiamo zero minuti ed arriviamo a Modena di primissima mattina, con già un caldo schifoso alle sette e mezza. Ci aspetta alla stazione Ettore, il mio amico fiorentino biglietto-munito, e prendiamo la corriera per Nonantola.
Ci piazziamo già sotto il sole per accaparrarci la prima fila, consci del fatto che se non vedremo mai più la nostra band preferita in un posto così piccolo, vale la pena farla bene fino in fondo, la minchiata. La security strabuzza gli occhi (“Ma il concerto è stasera, dobbiamo ancora montare tutto!”, le loro parole) e, mossa a pietà, ci fa spostare in una zona all’ombra. Passano le ore, aumenta il caldo, un caldo cattivo, aumenta anche la fila. C’è chi va a vedere in un pub vicino i quarti di finale dei mondiali nippocoreani: raccontano di Seaman che commette una grave papera su Ronaldinho e della Germania che soffre contro gli Stati Uniti.
Passano le ore, e si diffonde la voce che chi ha lo zainetto lo deve riporre nel guardaroba. Al momento dell’apertura cancelli risolvo a modo mio: tengo in braccio lo zainetto come una palla ovale, il placcaggio dello staff è mancato, corro alla meta, la prima fila è mia. Ma non è la prima fila di un palasport o di uno stadio, qui gli strumenti sono davvero ad un metro e mezzo. Dopo pochi minuti il club è già pieno, il caldo (già si schiattava fuori) diventa insopportabile, nonostante tutti le porte possibili aperte. Parte il più spontaneo e rabbioso dei cori: “Moreno, Moreno, vaffanculo!”, dedicato al caro arbitro ecuadoriano, boia della nostra nazionale tre giorni prima. Già prima dell’inizio dell’esibizione della band di supporto (i trascurabili Soundtrack Of Our Lives) le facce accanto a me cambiano, la gente desiste, vuole prendere legittimamente aria. Io invece sono così esaltato che potrebbero anche seppellirmi lì.
Arriva il momento degli Oasis, finalmente al completo. L’inizio è devastante: prima l’intro esplosiva di Fuckin’ In The Bushes, poi una delle novità più belle del tour, l’inserimento di Hello, canzone perfetta per cominciare il live. La band è affiatatissima, in stato di grazia. Non c’erano gli smartphone, non c’era YouTube, ma ci sono alcune registrazioni (ah, i bootleg…) pronte a testimoniare il fatto che trattasi del miglior concerto della storia degli Oasis in terra italica. Dopo le nuove The Hindu Times e Hung In A Bad Place (momento surreale: l’album non è uscito ma tutti conoscono a memoria i brani), è la volta di Go Let it Out e soprattutto di Columbia, che ci fa ben capire come il caldo inumano, mischiato al britpop più acido, possa regalare un’atmosfera psichedelica difficilmente dimenticabile.
Morning Glory è un altro momento corale e rabbioso, che precede i due brani migliori del nuovo disco, la commovente Stop Crying Your Heart Out e l’ottima Little By Little. Parte poi D’You Know What I Mean: avendo indosso la maglietta col logo del disco, non posso che toglierla e farla vedere a Liam Gallagher, che la indica compiaciuto. Non fateci caso: la lucidità l’ho lasciata a casa, è un’orgia di emozioni a 50°C, è la rivalsa per tutti i concerti che avrei voluto vedere anni addietro. Parte un pogo selvaggio durante Cigarettes And alcohol, le facce nella transenna alla mia destra e alla mia sinistra continuano a cambiare inesorabilmente. Liam dedica Live Forever ad un fan italiano morto da poco in un incidente stradale: momento toccante. È poi la volta di Gas Panic!, miglior brano della serata, psichedelia allo stato puro: chitarre elettriche, caldo, acidità, ancora caldo. Indimenticabile.
Parte poi She’s Electric, cantata a sorpresa da Noel: è un momento dove l’adrenalina cala e io rischio per la prima volta in vita mia di svenire. Mi accascio qualche secondo sulla transenna, la sicurezza mi chiede se è tutto ok e tanto basta per ripigliarmi bene. Arriva un altro tris di canzoni del nuovo disco, tra le quali spicca l’ottima Born On A Different Cloud, composta da Liam: il ragazzo è cresciuto e ci regala questa bella ballad beatlesiana. C’è poi ancora spazio per un finale maestoso, con la super classica Don’t Look Back In Anger, una maestosa Some Might Say e la cover finale di My Generation degli Who.
Esco dalla sala e percepisco uno sbalzo termico impressionante, come se fossi entrato in una cella frigorifera: in realtà fuori fa un gran caldo, ma dentro ce n’era molto, molto di più. Mi butto sul prato stravolto, con tanti pensionati di Nonantola che si godono lo spettacolo di questa strana invasione. Provo ad accendere il telefonino, un Nokia 3310. Niente da fare: è morto, andato, parzialmente fuso per il caldo. Io e i miei amici prendiamo la navetta che ci riporta alla stazione di Modena. Siamo stravolti, ma ci guardiamo in faccia increduli di gioia per lo spettacolo al quale abbiamo appena assistito. Dopo quel 21 Giugno 2002, vedrò gli Oasis altre undici volte in vita mia, ma in nessun’altra occasione eguaglieranno il livello raggiunto in quella calda notte emiliana.