Se “Surfer Rosa”, l’esordio sulla lunga distanza del 1988, è passato alla storia come il manifesto del loro modo di fare musica mischiando rumore e melodia, demenzialità e inquietudini, è Doolittle dell’anno seguente che imprime in modo indelebile il marchio dei Pixies da Boston nella storia del rock indipendente americano. Steve Albini, che aveva prodotto “Surfer Rosa” contribuendo enormemente al risultato finale, viene sostituito nella stanza dei bottoni da Gil Norton, perché l’intento di Black Francis e i suoi era chiaro: smussare qualche angolo, nascondere un po’ di polvere sotto al tappeto, darsi una ripulita e provare così a conquistare un pubblico più trasversale. Ma se il modo in cui suona il disco è innegabilmente più levigato rispetto al predecessore, dal punto di vista dei contenuti i Pixies non mollano di un centimetro e anzi rilanciano, mettendo sul piatto il meglio della loro indole punk unita a testi al limite della censura (quantomeno nei passaggi meno intrisi di quel nonsense che Black Francis aveva adottato come proprio vessillo artistico) che vanno con nonchalance dalla prostituzione in Tame ai riferimenti biblici in Dead. I riff più abrasivi di Debaser, No 13 Baby e Gouge Away si fondono così all’incedere cadenzato e disturbante di Wave Of Mutilation e Monkey Go To Heaven, i due singoli estratti dal disco, passando per l’alleggerimento da spiaggia di Here Comes Your Man, in una schizofrenia espressiva allora senza precedenti. Pochi accordi, ripetizioni ossessive di refrain e riff, acidi e caramelle che s’impastano nelle bocche di Black Francis e Kim Deal e in neanche quaranta minuti il seminale gioco dei Folletti giunge a compimento. L’apice raggiunto con “Doolittle” i Pixies non lo sfioreranno più, ma tanto è bastato a fare di loro e in modo particolare di questo disco la pietra focaia di un’intera nuova ondata dell’indipendente a stelle e strisce, un’ondata che di lì a pochissimo sarebbe diventata uno tsunami sull’altra costa degli Stati Uniti.
DATA D’USCITA: 17 Aprile 1989
ETICHETTA: 4AD