Se Hitler era stato rapito dalla musica di Wagner, Donald Trump “sotto sotto vorrebbe essere Madonna”: contrariamente a quanto si possa pensare, la musica del ventunesimo secolo è anche pericolosa e i musicisti hanno un potere che riflettori e paparazzi spesso ridimensionano.
Nei primi anni ’60 lo studioso statunitense Alan P. Merriam rivoluzionò la definizione etnomusicologia rilevando come il comportamento umano “produce musica, ma questo processo va inteso storicamente; il comportamento sta alla base della produzione del suono musicale…” o più sinteticamente definendo la materia come lo studio della musica nella cultura. I nessi e le interdipendenze tra gli sviluppi storici degli ultimi vent’anni sono talmente incisivi e radicati nella società contemporanea da far emergere l’esigenza di cercare un filo conduttore che faccia sì che non siano visti solo come una serie di avvenimenti scollegati.
“Politics” fa il lavoro “sporco” al posto di quella categoria di consumatori sonori la cui attenzione va oltre l’ascolto passivo delle uscite discografiche e documenta con precisione, chiarezza e oggettività il cambiamento radicale che ha travolto Stati Uniti, Inghilterra e tutta la compagine internazionale negli ultimi anni. Con un approccio etnomusicologico, Rennis racconta come la storia attuale sia fortemente influenzata da suoni e produzioni musicali (e viceversa), mettendo in atto svariati parallelismi atti a documentare tali meccanismi di influenza vicendevole.
Partendo da una classificazione per argomenti (dal rapporto tra musica e politica al post Brexit, dal post Trump alla questione raziale, dal movimento #MeToo ai diritti LGBT, dalla minaccia terroristica all’inquietante dilagare della post verità) Rennis scandaglia minuziosamente le connessioni tra la musica e la società civile, rilevando aspetti di non poco conto, quali ad esempio la diametrale differenza attitudinale della compagine politica sia americana che inglese e le reazioni alle conseguenze del cambiamento del contesto sociale, oltre Manica e oltre Oceano.
Date (la vittoria elettorale di Donald Trump dell’8 Novembre 2016, il risultato del referendum inglese del 24 Giugno 2018, quel dilaniante 13 Novembre 2015, lo scandalo Weinstein), stralci di interviste (Algiers, Depeche Mode) considerazioni giornalistiche, micro recensioni, tracce – raggruppate tutte in una playlist su Spotify – e analisi dei testi allacciate dalla narrazione di Rennis costruiscono l’impalcatura di una raccolta documentale preziosa in un tempo in cui la memoria collettiva inizia a scricchiolare.
Sia chiaro: “Politics” non è un assemblaggio di materiale scritto nel tentativo di aprire gli occhi verso due fenomeni politici e sociali estremamente pericolosi ma, al contrario, rappresenta una disamina abbastanza dettagliata su come sia cambiata la scena musicale, tanto in termini di dissenso quanto in modalità di appoggio, nei confronti di determinate decisioni o ideologie politiche (così, ad esempio la vaporwave per i sostenitori dell’alt righto il grime come nuovo catalizzatore di dissenso).
In apertura e in chiusura troviamo l’apporto di Ernesto Assante, Giovanni Ansaldo e Stefano Solventi, di età differenti ma parimenti incisivi nel condensare l’importanza della musica come patrimonio universale, in grado di determinare un cambiamento reale e sostanziale della nostra storia e delle nostre vite, oltre le vesti del semplice intrattenimento.
Editore: Arcana
Anno prima edizione: 2018
Pagine: 272
Prezzo di copertina: 19,50 Euro
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