Dal momento in cui la parola ha assunto un ruolo centrale, paritario o giù di lì rispetto alla musica, l’incontro tra rock e letteratura è stato naturale, spontaneo; parte dell’armamentario a cui i cantautori hanno iniziato ad attingere.
Stiamo combattendo una battaglia da qualche anno a questa parte: è la battaglia per non far disperdere il senso del rock al mondo. No, non c’entra nulla la menata della morte del rock intesa come la fine dei gruppi classici bla, bla, bla. No, qui si parla di paradigma, di attitudini, di senso comune. Di visione del mondo. Il rock si sta smarrendo perché ha dimenticato quello che è: rimestamento di immaginari, passaggi acrobatici nei cerchi infuocati di significati e fascinazioni, nutrimento di complessità, ricerca, ricerca e ancora ricerca anche nelle sue accezioni più istintive.
In questa battaglia è doveroso appuntare una medaglia al petto di Liborio Conca, giornalista, autore (tanti anni al Mucchio Selvaggio e fine penna del blog culturale Minima&Moralia) che, con il suo RockLit – Musica e letteratura: legami, intrecci, visioni (edito da Jimenez), disappanna i vetri del rapporto sempre molto complesso tra musica rock e letteratura. Uno di quegli aspetti di cui sopra perché, quando le chitarre hanno incontrato le pagine ruvide dei libri, sono sempre germogliati dei capolavori dai connotati misti ed eccezionali.
Sono cinque i macrocapitoli del libro: si va dal ballo viscerale ai piedi del totem William Burroughs (con il mitologico party per i suoi 70 anni a cui partecipò una sorta di olimpo di musicisti, scrittori e molti altri scalmanati), passando per le mappe e le leggende del Sud degli Stati Uniti, e poi ancora l’amletico quesito che ha dylaniato generazioni di osservatori: poeti o musicisti? Rock è poesia? Cant-autori? Senza dimenticare la dotta Inghilterra e poi la sfera più sbronza e imprevedibile di questo scenario rockit: le visioni.
Ecco, di questo stiamo parlando. Stiamo parlando di come Michael Stipe debba a Patti Smith la mania per Rimbaud, delle allucinazioni di Robert Smith che torna a girare il coltello insanguinato di Albert Camus, delle poesie bucoliche di Mark Linkous, di quelle decadenti di Ian Curtis sulle orme di Kafka. E poi Morrissey che dialoga con Oscar Wilde, Thom Yorke con George Orwell, Vic Chesnutt con John Fante. Salinger e le sue guerre, Lorca e i suoi valzer, Springsteen e i suoi fantasmi. Un cielo elettrico e tuonante, un temporale di significati, gocce cariche. Il rock, eccolo. Non ne esci facile. Non ci fai la spesa. Vivi e muori per una frase, per un centimetro. Come in una battaglia.
P.S. – Caro Liborio, a quando ItaRockLit?
Editore: Jimenez
Anno prima edizione: 2018
Pagine: 208
Prezzo di copertina: 16,00 Euro
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