La nonna di Billy viveva in un paesino sperduto, uno tra le migliaia di piccoli centri abitati che costellano gli Stati Uniti, di quelli dove non succede mai nulla di davvero memorabile. Un giorno Lilian Gish, famosissima attrice del cinema muto americano degli anni ’20, attraversò proprio quel paesino su un treno che la stava ovviamente portando altrove. La nonna di Billy era una così grande ammiratrice della Gish che il solo averla saputa a bordo di quel treno, che aveva semplicemente attraversato quel paesino sperduto e dimenticato da Dio in cui viveva, le aveva dato una gioia infinita, tanto da rendere quell’evento l’aneddoto di una vita, quello da tramandare e ricordare ad ogni riunione di famiglia, fino a farlo giungere alle orecchie di Billy.
Da una storia così romantica e agrodolce, intrisa di una malinconia antica e decadente, trae spunto il titolo di Gish, l’album d’esordio degli Smashing Pumpkins, la band che Billy Corgan aveva messo in piedi qualche anno prima, a Chicago, insieme all’amico James Iha ed a cui si erano uniti poco dopo Jimmy Chamberlin e D’arcy Wretzky. Ed effettivamente conoscendo il background del titolo non si può non pensare come gli calzi a pennello, una scelta assolutamente non casuale − come tutte le altre fatte da Billy nel corso della sua carriera − che contribuisce a dipingere il quadro di uno dei molti dischi memorabili di quel mitologico 1991 a stelle e strisce.
Spesso inseriti nel calderone del grunge per una serie di circostanze e coincidenze (vedi una certa propensione per il rock seventies o un produttore come Butch Vig, che lo stesso anno avrebbe firmato anche un certo “Nevermind”), gli Smashing Pumpkins dell’esordio sono una band che pesca tantissimo tra le maglie di pezzi di storia come Black Sabbath e Led Zeppelin, in pratica gli stessi numi tutelari di alcune di quelle formazioni che a Seattle stavano cambiando la storia (su tutte i Soundgarden, ovviamente). Billy e James hanno quel tipo di imprinting, hanno imparato a suonare la chitarra ascoltando Tony Iommi, Jimmy Page, Jimi Hendrix e compagnia bella, e nella loro musica tirano fuori esattamente quel tipo di rasoiate pesanti, penetranti. Evidenti nel dittico iniziale I Am One/Siva, col drumming selvaggio di Chamberlin (batterista di formazione jazz) ad aggiungere forza animalesca, ma anche nell’acidità di Bury Me e soprattutto in Tristessa, un po’ la summa dei primi Smashing Pumpkins.
Ma Billy ha anche una fortissima propensione melodica e un gusto per il nero tutto suo, così “Gish” è un disco infarcito di trame psichedeliche come in Rhinoceros, con le sue dilatazioni eteree che superano i sei minuti di durata, oppure Snail che trasuda LSD da ogni nota e Window Paine che è un viaggio acido in un mare di sostanze tremendamente stordenti; ma anche di avvolgenti divagazioni dream pop, come nella conclusiva Daydream, affidata all’acustica e alla voce di D’arcy, acustica che serpeggia anche in Crush (in evidenza ancora D’arcy, stavolta col suo basso) e in Suffer, a fare da contraltare concettuale per le distorsioni del resto della tracklist.
Non c’è rabbia generazionale in “Gish” (ed è questo il motivo principale che distingue e ha sempre distinto gli Smashing Pumpkins dal grunge), ci sono solo amori lontani, crepuscolari, fatti di assenze e di presenze tossiche come in Crush (“And I wonder if it matters to me / Love comes in colors I can’t deny / All that shimmers is love, love, your love”), in quella nenia malconcia che è Suffer (“Will you wait? Yes I will, I will wait for you / To cleanse your life takes more than time / Take what you want / Take all of it”), in Tristessa (“I love you true / Surely I do / Do you ever wake up and find yourself alone? / Do you ever wake far from home? / What you believe / You’ll wish to receive / I won’t believe in you”), in Daydream (“My daydream screams bitter ’til the end / The love I share, true, selfish to the heart / My heart, my sacred heart”). In pratica il campionario di approcci al tema che da qui in poi Corgan si porterà dietro per sempre.
Offuscato in parte dai due mastodontici capitoli seguenti della produzione degli Smashing Pumpkins, ovvero “Siamese Dream” (1993) e “Mellon Collie And The Infinite Sadness” (1995), “Gish” è stato però il fondamentale debutto che ha piantato i semi della poetica di Corgan e dello stile della band, un gorgo di languori autodistruttivi, viscerale e sofferto dalla prima all’ultima nota/parola, pieno zeppo di quei contrasti sonori che traslano i Pumpkins da un brano all’altro (ma anche all’interno dello stesso) come fosse da una scena all’altra di un film, magari un muto come quelli interpretati da Lilian.
DATA D’USCITA: 28 Maggio 1991
ETICHETTA: Caroline / Hut