Pubblicato dopo l’annuncio ufficiale dello scioglimento del gruppo, avvenuto il 10 Aprile 1970, Let It Be rappresenta cronologicamente l’ultimo lavoro in studio rilasciato dai Fab Four, anche se venne registrato per buona parte in sessioni precedenti a quelle di “Abbey Road” (1969). L’idea iniziale scaturì dalle riprese per il videoclip promozionale di “Hey Jude” e prevedeva un ritorno alle origini con un sound più rock e genuino, preferendo le registrazioni in presa diretta rispetto alle sovraincisioni e alla strumentazione elettronica. Per quest’ultima ragione George Harrison coinvolse nel progetto anche il tastierista jazz Billy Preston, tale collaborazione fu anche vista come l’ennesimo tentativo di placare gli animi all’interno della band.
Il disco avrebbe dovuto intitolarsi “Get Back” e comprendeva la realizzazione di un documentario girato durante le sessioni in studio e un concerto dal vivo, che fu oggetto di contesa tra George e Paul e culminò nella leggendaria performance sul tetto dell’edificio della Apple Records, etichetta appartenente ai Beatles, a Savile Row il 30 Gennaio 1969. A proposito di tale docufilm, il regista Peter Jackson sta attualmente lavorando a una sua nuova edizione, grazie a circa 55 ore di materiale inedito messo a disposizione da Yoko Ono, Olivia Harrison, McCartney e Starr. Insoddisfatti del risultato ottenuto, i Fab Four accantonarono momentaneamente i nastri, decidendo di recuperarli e affidarli al produttore Phil Spector (all’epoca famoso per la tecnica del Wall Of Sound, oggi perché sta scontando una condanna per omicidio) nel Marzo del 1970. Quest’ultimo si occupò del missaggio, modificando le tracce con l’aggiunta di cori e parti orchestrali: proprio questi passaggi finali condussero a ulteriori discussioni, dove i dissapori che serpeggiavano ormai da tempo ebbero la meglio e fecero raggiungere alla band di Liverpool il tanto temuto punto di non ritorno.
La ballata di apertura Two Of Us parla della relazione tra Paul e Linda Eastman, sebbene possa essere letta anche con un’accezione differente e sembrar riguardare il rapporto Lennon/McCartney. La seguono due canzoni che portano la firma di John: la nonsense Dig A Pony, definita “spazzatura” dal suo stesso autore, e la ballata cosmica Across The Universe, il cui testo fu giudicato invece il più poetico che avesse mai scritto. Quest’ultima, già resa nota nella raccolta a scopo benefico “No One’s Gonna Change Our World” (1969), venne registrata nuovamente poiché Lennon non si riteneva soddisfatto delle precedenti versioni: inizialmente suonata solo da lui e Harrison, venne poi rallentata e arricchita da Spector in fase di produzione da un eccessivo arrangiamento orchestrale.
Vi sono poi I Me Mine, l’ultima traccia registrata in studio senza Lennon, già allontanatosi dal gruppo, e Dig It, frutto di una lunga jam session basata sui tre accordi di un giro armonico classico, dove John improvvisa il testo accostando libere associazioni di idee senza alcun nesso logico. Let It Be venne scambiata per un inno alla religione a causa del titolo, dell’invocazione a “Mother Mary” e della struttura gospel, in realtà si tratta di una dedica di Paul alla propria madre, Mary Mohin, scomparsa quando l’autore aveva solo quattordici anni e che in quel periodo difficile dal punto di vista professionale gli era apparsa in sogno. È poi la volta del motivo popolare Maggie Mae, seguito dalle sfumature blues di I’ve Got A Feeling e dal rock’n’roll di One After 909.
The Long And Winding Road è stata composta da Paul nel 1968, ispirato dalle tensioni che vi erano all’interno della band: essa non ha solo una storia travagliata, ma è stata anche la goccia che ha fatto traboccare il vaso e portato al definitivo scioglimento del gruppo. Negli ultimi giorni di mixaggi, Spector modificò pesantemente la traccia aggiungendo cori e archi in abbondanza senza consultarsi prima con McCartney, il che lo mandò su tutte le furie, poiché non era più possibile cambiarla. Vi è poi For You Blue, intitolata in origine “George’s Blues”, una dedica di Harrison a Pattie Boyd. La realizzazione di quello che è il brano di chiusura Get Back, concepito come satira nei confronti del razzismo e poi stravolto per evitare problemi di natura sociale, a causa di termini non opportunamente calibrati e fraintendibili, fece scontrare John e Paul: il primo sosteneva che McCartney volgesse il suo sguardo verso Yoko quando pronunciava la frase “Get back to where you once belonged”; suggestione o meno, non si trattava sicuramente di razzismo, ma solo dell’ennesima prova del clima di insofferenza che regnava all’interno del gruppo.
Nonostante il grande successo commerciale, quest’ultimo atto dei Fab Four venne ferocemente stroncato dalla critica: laconico, pieno di errori (voluti o meno), non è considerato all’altezza di pietre miliari come “Sgt. Pepper’s” (1967), “Revolver” (1966), “White Album” (1968) o quello che rappresenta il reale testamento beatlesiano, “Abbey Road”. A dispetto di tutto ciò, la maggior parte delle tracce appartenenti a “Let It Be”, in particolare proprio le più biasimate The Long And Winding Road e Across The Universe, oltre alla stessa title track, sono impresse indelebilmente nell’immaginario collettivo e sono tra le più belle mai scritte.
DATA D’USCITA: 8 Maggio 1970
ETICHETTA: Apple