Opera monumentale di ben 36 tracce suddivise in tre LP, il quarto album in studio dei Clash, Sandinista!, è il lavoro più discusso in assoluto della band londinese. Dopo la sua pubblicazione i fan si divisero e manifestarono la loro delusione, preferendo i più classici “The Clash” (1977) e “London Calling” (1979); perfino numerose future rockstar come Kurt Cobain affermarono di non averlo apprezzato troppo, in quanto non corrispondente all’idea che si erano fatti del punk. Eppure, scuotere e stupire era l’intento principale della band fin dalla scelta del titolo, ispirato all’organizzazione di guerriglieri del Nicaragua che l’anno precedente avevano destituito il presidente Anastasio Somoza Debayle, e ancor di più dall’allora premier britannica Margaret Thatcher, che cercò di proibire l’uso della parola “sandinista”; perfino il suo numero di catalogo, FSLN1, fa riferimento alla sigla del movimento rivoluzionario.
La nota copertina, opera della fotografa e fidata collaboratrice della band Pennie Smith, ritrae il quartetto dietro alla stazione ferroviaria di St. Pancras. Le sonorità – così come i temi politici e sociali – abbracciano tutto il mondo, mescolando influenze reggae, ska, dub, disco, funk, jazz, rockabilly, gospel, r’n’b e perfino rap, anticipando l’esplosione della world music, ormai alle porte con l’arrivo degli eighties. Tra i tanti tratti sperimentali, oltre alle commistioni di genere e al produrre una quantità immane di materiale da pubblicare, di cui si poteva già intuire l’attitudine nel precedente “London Calling”, risalta l’aver remixato e rivisitato i propri brani, cosa molto attuale ma che al tempo del vinile e della musicassetta non lo era decisamente.
Coerenza e coesione non sono due aggettivi calzanti quando si parla di quest’opera, per accorgersene è sufficiente iniziare ad ascoltare il primo disco, nel quale si viene immediatamente accolti dal proto-rap di The Magnificent Seven, per poi passare alla più melodica Hitsville UK, cantata da Mick Jones insieme all’allora fidanzata Ellen Foley, al rifacimento in chiave reggae del classico di New Orleans Junco Partner e rimanere attoniti dinanzi ai toni disco funk di Ivan Meets G.I. Joe, evidente riferimento allo scontro tra America e Unione Sovietica, la cui rappresentazione richiama un videogioco arcade.
Vi è poi il breve rock’n’roll di The Leader, seguito da due esperimenti folli: la storia del Novecento inglese raccontata nella complessa Something About England, frutto di una sperimentazione con il music-hall, e il valzer in tre quarti Rebel Waltz. A quel punto l’ascoltatore è veramente pronto (e abbastanza confuso) per qualunque cosa possa presentarsi, nel caso immediato la cover rockabilly di Look Here di Mose Allison.Il primo LP si chiude con la jazzata One More Time, seguita dalla sua versione dub, One More Dub.
La seconda parte prosegue nella stessa (non)direzione e in essa spiccano su tutte il gospel scatenato di The Sound Of Sinners, la cover punk della Police On My Back di Eddy Grant, il singolo The Call Up e la ricostruzione della storia dell’America Latina di Washington Bullets, la quale può essere considerata la title track del disco a tutti gli effetti, essendo l’unica in cui compare il termine “sandinista”, utilizzato in maniera sarcastica. Infine, nell’ultimo LP vi sono le sperimentazioni più avanzate, alcune di matrice dub come la strumentale Mensford Hill, oltre a una nuova interpretazione della Career Opportunities di “The Clash”, resa ancora più sarcastica grazie alle voci dei figli del tastierista Mick Gallagher. Di rilievo vi sono Lose This Skin, composta e cantata dall’amico di Joe Strummer, Tymon Dogg, Charlie Don’t Surf, e la chiusura reggae strumentale di Shepherds Delight.
Articolato, complesso e rivoluzionario nel vero senso del termine, “Sandinista!” è uno dei migliori album rock del secolo scorso, forte, politico, innovatore e come lo definì Strummer: “tre volte oltraggioso”.
DATA D’USCITA: 12 Dicembre 1980
ETICHETTA: CBS / Epic