Thom Yorke non s’è mai fatto pregare quando c’è stato da sperimentare con mezzi e formule nuove, senza paura di sbagliare o di essere criticato, con il tempo che gli ha dato puntualmente ragione. È uno cui piace fare passi avanti, piuttosto che muoversi in orizzontale come i granchi o, peggio, all’indietro come i gamberi. Come non erano stati i Radiohead i primi a sfruttare internet per diffondere la propria musica, così anche oggi non sono certo i The Smile, il suo nuovo progetto insieme a Jonny Greenwood e Tom Skinner dei Sons Of Kemet, ad inaugurare la stagione dei live in streaming. Tanti altri – ma non tantissimi, a dirla tutta – lo hanno già fatto nel corso degli ultimi tristissimi due anni che ci sono toccati da vivere, ma Yorke ha aggiunto (per primo? A memoria direi di sì, ma magari m’è sfuggito qualcuno/qualcosa) un fattore ulteriore, legato essenzialmente alla formula scelta: non un unico live, lo stesso live, magari registrato e trasmesso in “fake livestream” in uno o più appuntamenti, ma tre concerti veri e propri, fisici, carnali, senza tagli e post produzione, suonati dal vivo e con un pubblico in sala. Tre concerti. Diversi uno dall’altro sebbene all’interno della stessa location, il Magazine London. Diversi sebbene spalmati nell’arco di appena ventiquattro ore, tra il 29 e il 30 Gennaio, per favorirne la fruizione a ogni latitudine. Qualcosa di molto simile a un piccolo tour, insomma.
Quando mi collego, una decina di minuti prima che il live abbia inizio, lo streaming è già attivo. Le varie telecamere si soffermano ora su un cartello che avvisa il pubblico che verrà ripreso, ora sul mixer, ora sugli amplificatori, mentre in sottofondo si sente il brusio della gente che immagino intenta a prendere posto (solo a sedere). All’orario previsto (le 12:00 italiane), la band si presenta on stage: un palco circolare rinchiuso in una sorta di gabbia/gazebo di led, le tribune tutt’intorno, le telecamere sono ovunque e sono quindi tante le angolazioni attraverso cui poter godere del concerto. Yorke dice qualcosa riguardo la sua colazione ed effettivamente io stesso sono davanti al pc con una tazza di tè caldo, tutto sommato non un male per la salute, per la linea e per avermi fatto risparmiare quei 7/8 Є che avrei sicuramente speso per una di quelle birre annacquate che spesso propinano nelle varie venue. Certo un modo e un orario insoliti per assistere a un live (e sorvoliamo sull’outfit che ho scelto per l’evento, ma preciso che anche Jonny ha suonato scalzo).
Oltre alle già note The Smoke e You Will Never Work In Television Again, che chiude il set da un’ora esatta prima dell’encore, ci sono ovviamente tutti (?) i brani che presumo finiranno sull’album d’esordio della band: a tal proposito, visto che siamo pur sempre qui a parlare di musica segnalo in modo particolare Open The Floodgates e soprattutto Free In The Knowledge, una meraviglia acustica introdotta da una sorta di canto di balene proveniente da una galassia lontana, con in chiusura una coda rumoristica durante la quale Greenwood s’accanisce con l’archetto sul suo basso. La dimensione live si percepisce e fa molto piacere, con Yorke che si rivolge un paio di volte ai presenti (fra le varie inquadrature si scorgono davvero pochissime mascherine, il che potrebbe portarmi a discutere sul perché certi eventi in Inghilterra e Stati Uniti siano ritenuti fattibili e qui in Italia no… ma eviterò, mi limito solo a un invito a resistere a tutti gli operatori del settore colpevolmente dimenticati e annichiliti da ciò che sta accadendo). Alla fine del live arrivano i titoli di coda come al cinema e l’invito a “recarsi” allo store per l’acquisto della maglietta della band… un po’ come quando ci si sofferma al banchetto del merchandise prima di uscire dal locale.
A prescindere dalla pandemia che ancora affligge il mondo e soprattutto quello della musica dal vivo, le domande da porgersi sono a questo punto due: in primis, ha senso una formula del genere? Tecnicamente sì, la qualità dello streaming e l’ottima regia lo hanno reso un evento ampiamente godibile, sebbene per forza di cose lacunoso della parte essenziale di ciò che un’esperienza sensoriale a trecentosessanta gradi comporta; in secondo luogo, viste le enormi difficoltà logistiche ed economiche nel mettere in piedi certe produzioni, potranno gli artisti – quantomeno alcuni, ché devi avere una fanbase di un certo spessore per farlo – decidere in futuro di dare regolarmente vita ad eventi fuori dalle dinamiche (e a discapito) di un tour, proponendoli in diretta a una platea mondiale come fatto da Yorke e soci? Vorrei poter rispondere con assoluta certezza di no, illudendomi che superata l’emergenza pandemica tutto possa ritornare sui binari che conoscevamo… ma la verità è che ogni indizio, ogni circostanza storica, sociale e tecnologica, sembra portare esattamente in direzione opposta.
È chiaro che, ad oggi, per tantissimi – compreso chi scrive – il gioco potrebbe non valere la candela, perché piuttosto che spendere 17,25 Є (il ticket per l’evento di cui abbiamo parlato) per un live in streaming sarebbe lecito voler attendere un tour e vero e proprio… ma se così non fosse? Se i tour veri e propri smettessero di esistere con la frequenza e il numero di date cui eravamo abituati? Se ad esempio Trent Reznor decidesse di organizzare un unico live, magari a Los Angeles, per presentare il nuovo album dei Nine Inch Nails, senza mai dargli seguito con un tour, inizierebbe ad avere senso un esborso di 15/20/30 Є per un europeo che, dall’altro lato del mondo, non avrebbe altrimenti nessun’altra possibilità di vedere la band dal vivo? È ovviamente una provocazione, ho dipinto il più drammatico degli scenari che un appassionato di musica possa immaginare, ma sono considerazioni e pensieri che in questo preciso momento storico non mi sento di escludere a priori. Un po’ per esorcizzarli, un po’ come una sorta di training autogeno che possa aiutarmi ad affrontare ciò che riserverà il futuro, un futuro che a Thom Yorke è già riuscito altre volte di anticipare e influenzare.