Quante volte ci si è lagnati di come il nuovo millennio – che ormai ha bruciato tanto i suoi anni Zero quanto i Dieci – non abbia apportato nulla di apparentemente nuovo all’evoluzione della musica? Eppure a Londra, appena dieci anni fa, qualcosa s’è mossa e a guardarla col senno di poi ha lasciato un’impronta ben marcata su quello che è il presente e probabilmente il futuro del (indie) (pop) (elettronica) rock, giusto per rimanere ancorati a (stupide e/o inutili?) macro categorie. Il senno di poi ci dice che Jamie Smith s’è attestato come uno dei produttori più attenti in circolazione, attento a ciò che gli accade intorno, attento nel lavoro in studio che quando lo coinvolge è sempre certosino, attento a non auto-incastrarsi in propri o altrui schemi ma allo stesso tempo in possesso di un tocco riconoscibilissimo.
Ecco, tutto ha avuto inizio proprio dieci anni fa, quando Jamie xx produceva l’esordio dei suoi The xx, creatura condivisa con Romy Madley Croft e Oliver Sim, rispettivamente chitarra e basso ed entrambi voci che s’inseguono e s’accavallano (più il tastierista Baria Qureshi, di lì a poco fuori dal progetto). Con xx è sembrato subito chiaro come l’ibridazione potesse e dovesse essere la via da seguire per provare a salvare il salvabile di un ambiente, quello cosiddetto “indie”, che ha rischiato di implodere prima ancora di una reale e storicamente tangibile esplosione, ingabbiato com’era in stereotipi revivalistici che non andavano oltre lo scimmiottamento dei campioni del post punk.
Quello che fanno i The xx è tanto semplice quanto efficace: prendono le venature più eteree dello shoegaze, certi echi trip hop, bisettrici dreamy e melodie accattivanti e le miscelano con l’r’n’b e le più recenti inflessioni neo soul. Le voci di Romy e Oliver, come si diceva, si alternano nel ruolo di protagonista e molto spesso diventano una sola, regalando all’album quei languori che ne decretano il successo, anche in ambienti mainstream, diventando la vera e propria cifra stilistica dei The xx. Il lavoro di Jamie fa sì che la chitarra di Romy e il basso di Oliver si fondano in un unico fluido in cui affogano le pulsazioni sintetiche di pezzi come Islands o Basic Space, ma sono i passaggi più atmosferici come l’arcinota Intro o Infinity a fungere da colonna portante di un disco che, a soli dieci anni dalla sua uscita, ha già conquistato i galloni di pietra miliare.
DATA D’USCITA: 14 Agosto 2009
ETICHETTA: Young Turks / XL