Battono all’unisono i cuori di Georgia Hubley e Ira Kaplan. Battono insieme da ben prima di quel 1997, dei sette dischi scritti insieme e della loro affermazione come veterani dell’indie americano. Battono in maniera appassionata, per la musica e con la musica, da quando, sul finire degli anni 70’, frequentando le notti di una New York seminale, si sono conosciuti e hanno costruito il loro idillio sentimentale e professionale. Unione che poi si è stabilita ad Hobeken, nel New Jersey, praticamente ad una manciata di chilometri di distanza dalla città dei Velvet Underground, dove tutto è cominciato.
La dorsale degli anni ’80 è stata momento di osservazione e di sperimentazione per Georgia e Ira. La traiettoria del loro suono è stata sempre imprevedibile e all’inizio ciò è avvenuto in maniera incosciente. Questo è derivato dal fatto che gli input provenienti dalla scena newyorkese di quel periodo erano costanti e venivano sintetizzati senza starci a pensare più di tanto. Poi qualcosa è cambiato. Il passaggio tra i due decenni ci ha detto che le coordinate dell’eclettismo erano state pienamente assimilate ed è stata evidente la contezza di non essere imbrigliabili in un paradigma sonoro precostituito.
La scarsa autocoscienza iniziale è stata anche figlia dell’avvicendarsi costante di bassisti che non riuscivano ad amalgamarsi pienamente alle idee del duo. Mike Lewis e Dave Schramm – rispettivamente bassista e chitarra solista – compaiono sull’esordio dell’84, “Ride Tiger”, mentre Stephen Wichnewski incide le linee di basso per “New Wave Hot Dogs” (1987). Gene Holder, invece, è il produttore e bassista di “President Yo La Tengo” del 1989. Una quadratura del cerchio si ha soltanto con l’ingresso di James Mc New, un ragazzone occhialuto diventato, poi, il bassista definitivo, il terzo membro stabile del gruppo. L’anima degli Yo La Tengo è sempre coincisa in tutto e per tutto con l’armonia delle anime sonore di Ira e di Georgia, tuttavia, fino a quel momento, era mancato qualcosa che potesse consentire loro di riconoscersi e confrontarsi con quello che sarebbero diventati.
Gli anni ’90 sono stati un terreno di sperimentazioni consapevoli, a partire dal disco di cover, “Fakebook” – una delle predilezioni ricorrenti degli Yo La Tengo – passando per “Painful” (1993) – forse il primo abbozzo di quella mistione peculiare di dream e noise pop che costituirà l’impronta stilistica degli YLT – fino ad arrivare all’elettricità conturbante e inaspettata di “Electr-o-Pura” (1995). Coltivare gli argini delle loro sonorità per poi distanziarsene: è stata sempre questa la cifra del loro essere outsider. Ma I Can Hear The Heart Beating As One è il momento in cui Ira e Georgia si accorgono che il tempo dell’imprevedibilità necessita di un’ancora, di uno specchio d’acqua in cui guardarsi e ritrovarsi e ciò accade scrivendo il disco del salto di qualità definitivo.
Per la sua registrazione scelgono lo studio House Of David di Nashville e Roger Moutenot in cabina di regia – già produttore del precedente “Electr-o-Pura”. Il resto è storia già raccontata: “I Can Hear The Heart Beating As One” è un disco dall’equilibrio perfetto, riesce a far coesistere anime sulla carta lontane. Il noise con il dream, la bossanova con il kraut e la psichedelia: non alternative ma tutte contemporanee facce della stessa medaglia. In un’ora e poco più si avvicendano costantemente: inizia il riff tremolante dell’intro Return To Hot Chicken, proseguono i tentacolari riverberi di Moby Octopad a cui si attaccano simbioticamente le ipnotiche linee di basso. L’elevata caratura noise si distingue nella granitica Sugarcube ma anche negli echi à la Velvet Underground di Damage.
Il non risparmiarsi significa anche far uscire dal nulla il folk melodico di Stockholm Syndrome, che paga dazio a Paul Simon. La presenza di Autumn Sweater e di Green Arrow è il motivo del perché questo disco sia diventato un classico: brani iconici, forse sovrapponibili alla stessa immagine del gruppo. Le tastiere di Autumn Sweater issano lo stendardo onirico degli Yo La Tengo, prontamente sbandierato dalle vibrazioni della lap steel di Green Arrow. Un altro colpo d’occhio – e d’orecchio – lo dà il mettere in rapida successione la bossanova di Center Of Gravity con la kosmische musik di Spec Bebop. E poi l’amore per le cover, mai riprodotte in modo pedissequo: la carica noise di Little Honda cambia i connotati al pezzo dei Beach Boys, senza risultare, però, blasfema. “I Can Hear The Heart Beating As One” è il capolavoro di Ira e Georgia: è un melting pot di suoni che scuotono e scaldano, che sono ancora così vividi e così connessi tra di loro da essere necessari. Sbrinano le anime più algide e rendono percepibili i battiti: i loro e i nostri. Ancora all’unisono, dopo venticinque anni.
DATA D’USCITA: 22 Aprile 1997
ETICHETTA: Matador