Paul Wolinski non è certamente uno di quelli che si fa pregare per parlare. E così, il chitarrista degli inglesi 65daysofstatic, si lascia andare a ruota libera nell’affrontare la chiacchierata virtuale propostagli da Il Cibicida. Ci parla dell’evoluzione della band dagli esordi ad oggi, del nuovo album a cui stanno lavorando i quattro di Sheffield, del loro modo di lavorare e di tanto altro ancora. Buona lettura.
Per cominciare, una stupida curiosità riguardo il vostro nome: perchè “65daysofstatic” e non “65 Days Of Static”?
Infatti, in realtà il nostro nome è “65daysofstatic”. Niente maiuscole, niente spazi. E’ così semplicemente perché siamo una band, una sola entità. “65 Days Of Static” suona più come un evento o una idea, piuttosto che come una cosa reale, concreta. E noi siamo molto concreti.
Cos’è cambiato negli equilibri della band con l’ingresso di un grande batterista come Robb Jonze? All’inizio lui non era nella band…
Esatto, lui non c’era. E sebbene il tempo trascorso prima che Robb si unisse a noi è stato importante in termini di apprendimento su come suonare e scrivere, per come la gente conosce i 65daysofstatic, per aver scritto pezzi di cui siamo orgogliosi, finchè Robb non si è aggregato non eravamo realmente quella band che tutti conoscono. Nonostante Robb sia già presente nei drum-loops del nostro ep di debutto “Stumble.Stop.Repeat”, è entrato nella band solo durante quel processo compositivo. Prima di Robb, i beats erano basati molto più sull’elettronica. La cosa eccitante era che, al di là del fatto che Robb è un eccellente batterista, c’era adesso una strumentazione reale che batteva il ritmo, il programming poteva essere molto più “off-the-wall”, sfatto e confuso, per suonare al di fuori dei beats di Robb.
Secondo te, ci sono termini adatti per spiegare la vostra musica? Forse “post-rock”?
E’ passato ormai tanto tempo da quando ci preoccupavamo o riflettevamo riguardo i diversi modi in cui potevamo essere “categorizzati”. Il termine “post-rock” è interessante, ma l’abbiamo sempre evitato per quanto fosse possibile, perché in Inghilterra, per quanto ne sappiamo, tende ad avere un significato implicito negativo. Dire che una musica è di un certo genere, implica quasi il dire che non è abbastanza buona per reggersi sui suoi propri meriti. Il nostro primo tour europeo ci ha fatto realizzare, per quanto possiamo dire, che il termine “post-rock” è stato utilizzato molto più come un termine descrittivo piuttosto che come un concetto. Fondamentalmente, se la gente vuole usare queste parole per spiegare che suono ha la nostra musica, va benissimo. Ma noi siamo sicuri che il nostro sound non è uguale a quello di nessun’altra band che è stata catalogata sotto il genere “post-rock”.
In studio di registrazione prevale per voi il lavoro al computer o quello sugli strumenti? Il computer viene solo dopo per l’alterazione del suono?
Proprio in questo momento siamo in studio di registrazione per portare a termine il nostro terzo album. Siamo a Gennaio, e abbiamo cominciato a scrivere per quest’album intorno al Marzo dello scorso anno. Fin dai primissimi momenti, la programmazione al computer è stata presente. Ha cominciato a passare avanti e indietro fra noi quattro mentre suonavamo in una “rehearsal room”, modificando i brani al computer e costruendoci diversi strati di beats intorno… le canzoni sono passate attraverso innumerevoli versioni ed incarnazioni prima che decidessimo l’arrangiamento definitivo. Non vediamo il computer come qualcosa di realmente diverso dagli strumenti “reali” suonati dalla band. E’ tutto completamente integrato.
In che modo siete evoluti da “The Fall Of Math” a “One Time For All Time”?
“The Fall Of Math” ha avuto bisogno di un periodo molto lungo per essere scritto. Le idee erano venute fuori nel corso di un anno o giù di lì, e la line-up stava ancora subendo alcuni cambiamenti, per cui è stato più che altro un processo di apprendimento. Eravamo pieni di idee, ma cercavamo ancora il modo migliore per presentarle al pubblico. In confronto, “One Time For All Time” è stato scritto in un periodo ti tempo veramente breve ed intenso, durante l’anno trascorso in tour. Fondamentalmente, avevamo bisogno di convincere noi stessi che “The Fall Of Math” non era stato solo un colpo di fortuna, e che eravamo in grado di scrivere un secondo album. Proprio in questo momento siamo nella fase di missaggio del nostro terzo album, che poi è il primo per il quale abbiamo avuto realmente l’opportunità di creare tutti insieme, spendendo ben più di una settimana per registrarlo. Ci auguriamo che le persone notino i progressi!
Avete detto nel titolo di un vostro brano: “65 Doesn’t Understand You”… ma credete che qualcuno capisca voi invece? Lo so, è una domanda incredibile…
Forse. Sebbene sospetti che il titolo indichi una mancanza di “capacità” da parte di 65, piuttosto che l’inverso. Penso a 65 come ad una idea davvero facile da capire. Noi proviamo soltanto a fare ogni cosa come ci viene, tutto subito.
State già lavorando al prossimo album? Suonerà simile a “One Time For All Time”?
Si, ci stiamo lavorando. Stiamo per giungere al termine. L’unica cosa che sarà indubbiamente diversa rispetto a “One Time For All Time” è che siamo stati in grado di utilizzare un pugno di strumenti veri in più, non fidandoci più di tanto dei campionamenti (questo non vuol dire che c’è meno programming. Vuol dire solo che abbiamo cominciato ad inserire più suoni “reali” di quanto avessimo fatto prima). Questo è il primo album su cui abbiamo avuto il tempo di lavorare tutti insieme per fare qualcosa che speriamo sia un insieme coerente, piuttosto che soltanto un pugno di brani in cui suoniamo bene insieme. In questo momento siamo tutti eccitati per ciò. E’ la cosa migliore che abbiamo fatto da tanto tempo a questa parte, credo…
Durante i vostri concerti, come riuscite a riprodurre la gran mole di effetti elettronici che sono presenti negli album?
Con la magia, con tecnici di chitarra sottopagati e con computer guasti.
Avete mai pensato (o magari vi è già stato proposto) di scrivere la soundtrack per un film?
L’idea c’è passata per la testa avanti e indietro per un bel po’. Al momento questa è una domanda difficile. In teoria, sarebbe una opportunità stupenda essere in grado di scrivere qualcosa per un film con un regista che ammiriamo, e capisco che la gente a volte ci chiede ciò dato che siamo una band strumentale. Ad ogni modo, noi siamo una band anzitutto, e l’impresa di un progetto come questo porterebbe via mesi per essere fatta nel modo giusto, e ciò vorrebbe dire per noi mesi passati senza poter suonare dal vivo, o scrivere i nostri pezzi… in definitiva, credo che la risposta sia che dipenderebbe dal film.
Domanda di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Suona come una qualche sorta di uccello. O un cocktail. O entrambe queste cose. Cosa significa? Una delle cose peggiori dell’essere inglesi è che è facilissimo non imparare mai una seconda lingua. Mi scuso per questo.
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto