Da “Technicolor Dreams” a “Midnight Talks”, la dimensione onirica rimane centrale per la musica degli …A Toys Orchestra. D’altronde è lo stesso nome della band campana (un’orchestra di giocattoli e tre puntini di sospensione) a suggerire strani sogni ed immaginazioni. I campani sono fatti così, gli piacciono da morire gli anni ‘60 e i Beatles, e vanno pazzi per le canzoni che esplorano mondi nuovi. “Midnight Talks”, però, è più rock, sfoggia l’elettricità della chitarra e un po’ meno il proverbiale tocco pianistico. Enzo Moretto, leader dei giocattoli, lo ha raccontato a Il Cibicida.
Enzo, partiamo dal titolo del nuovo disco: “Midnight Talks”…
Il titolo nasce sostanzialmente da due motivazioni. La prima più semplice: musiche e testi di questo album sono stati scritti tutti dopo la mezzanotte. Di conseguenza arriva la seconda visione del titolo. I discorsi di mezzanotte sono quelli più misteriosi, che arrivano in un momento della notte che è una sorta di limbo, perché passaggio tra un giorno e un altro.
La copertina al contrario mostra una certa virulenza…
Questo è un disco d’amore, anche se è difficile parlare d’amore senza rischiare di passare per sdolcinati. Noi volevamo mostrare dell’amore il suo lato più controverso, più scuro e, sì, anche più virulento. Nell’amore non sempre tutto è perfetto, l’odio, ad esempio, è il suo fratello gemello. Nella copertina, così, volevamo dare volto alla rivincita dell’amore sull’odio. In quel bacio, che è anche morso, c’è un’immagine di vita, come se quei due tipi in copertina avessero litigato, ma poi deciso di fare l’amore.
Nel precedente “Technicolor Dreams” a dominare era il pianoforte. In che modo lo avete sostituito?
Volevamo un disco che impattasse in maniera più carnale, più rock. Ci è stato favorevole, in questo senso, il fatto di scrivere l’album subito dopo la fine del tour con addosso, quindi, l’approccio energico e vitale della dimensione live. In più però la differenza tra “Midnight Talks” e “Technicolor Dreams” la fa la chitarra. Il nuovo album l’ho scritto più alla chitarra, e nella lavorazione delle melodie, ho pure voluto dare taglio diverso alla voce, facendola diventare parte integrante della sezione ritmica. Però il pianoforte rimane importante per noi. C’è in qualche pezzo e, in generale, è uno strumento a cui non riusciamo a fare a meno in fase di composizione.
C’è un pezzo che s’intitola “Celenetano”. Un omaggio?
Apprezzo moltissimo il primo Celentano, però la canzone non esattamente un tributo. Tutto nasce da un titolo dato in via transitoria, e poi avevamo questa ritmica di chitarra che assomigliava tremendamente a quella di “Yuppi Du”. Tutto è andato da sé: rileggendo il titolo ho capito che mi intrigava moltissimo poter ricamare sul personaggio Celentano. Alla fine, secondo noi, ne è uscito fuori un omaggio onirico all’opera di Celentano e alla sua iconografia.
Nei mesi scorsi siete stati a lungo in tour all’estero. Come vi ha accolto il pubblico straniero?
E’ stata una sorpresa, una vera sorpresa. Quando abbiamo iniziato il tour, eravamo convinti che all’estero, sul palco, avremmo dovuto ricominciare da zero, come agli esordi, con l’imbarazzo da scalfire, da superare. Invece abbiamo trovato un buon pubblico che spesso ci conosceva, grazie alla promozione e ai riconoscimenti che abbiamo incassato, ad esempio il “disco della settimana” sulla BBC. Quindi siamo stati contentissimi, il pubblico straniero è attento, caloroso. Abbiamo venduto tanti dischi e molte persone ci hanno detto che hanno fatto chilometri per venirci a vedere.
Il tour è ormai momento fondamentale per promuovere un disco…
Assolutamente sì. Il live è il vero mezzo di pubblicità in questa epoca in cui il cd non è più un oggetto di culto…
Piangerai al funerale del cd?
Sì a me mancherà. Sentirò la mancanza del cd esattamente come l’ho sentita del vinile che, però, sta tornando in auge. Io sono un feticista della musica, mi piace ascoltarla per bene. Quando ascolto un album devo avere l’oggetto in mano, guardare la copertina, leggere i testi. È proprio una forma di devozione la mia. E odio ascoltare la musica dalle casse di un computer. Per non parlare, poi, che non ho mai ascoltato una singola canzone mentre leggo un libro, il mio cervello può fare una cosa alla volta. L’oggetto disco è fondamentale. Prendi la copertina, non è solo un involucro ma è parte integrante del messaggio di un disco. Tu rinunceresti a vedere una mostra dal vivo, preferendo vedere le opere al computer in formato jpeg?
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra