“Kurt chiese a Beth McCarthy, la regista, di inquadrarlo mentre sorrideva. La moglie Courtney lo aveva rimproverato di essere troppo serio e lui non voleva darle sazio”. A parlare è Alex Coletti che per Il Cibicida porta indietro il suo album di fotografie virtuali. Nel Novembre del 1993 è lui a dirigere i lavori del celebre “MTV Unplugged in New York” dei Nirvana. È lui con la sua produzione. Eh sì, perché Alex è il guru che ha costruito tanti show della serie Unplugged di MTV, quei concerti senza spine in cui artisti come R.E.M., Pearl Jam, Bob Dylan, Neil Young, Eric Clapton (e decine di altri pezzi da novanta) riportavano la propria musica a una dimensione essenziale, senza elettricità, esattamente al punto di quando era stata concepita nel chiuso di una stanza. Nel 1993, dunque, Coletti convince pure Kurt Cobain e i Nirvana a fare il loro Unplugged. Una vera e propria sfida: un trio così nervoso, nevrotico, con un leader talmente irrequieto da mangiarsi l’aria e sputare elettrodi, era una base di prova non indifferente per il format acustico. “Ma furono episodi come quello tra Kurt e Courtney che mi diedero la dimensione umana di Cobain e che me lo fecero sentire molto vicino, molto umano, quasi da pensare perfino di assomigliargli”.
Però a New York, Cobain, sembrava un uomo in eclissi. Volto spento, curvo sulla chitarra. Tu che ce l’avevi a pochi passi, com’era il Kurt dell’Unplugged?
Devo essere sincero, non vidi un uomo in difficoltà. Davanti a me c’era un musicista di talento con una visione ben definita per lo show. Nessun dramma, nessun problema specifico. E anche la band non fu particolarmente problematica, anzi, i ragazzi mi apparvero molto chiari nelle loro richieste e nel lavoro.
Anche per Layne Staley fu così? La dimensione acustica fece emergere un aspetto che poco si conosceva di Kurt e Layne. Una specie di viscere che prima l’elettricità aveva sotterrato.
Non mi sento di paragonarli. Certo, tra loro sono uniti dall’incredibile coincidenza che riguarda il maledetto 5 di Aprile. Però, ecco, durante l’Unplugged degli Alice in Chains, la voce di Layne era così potente che non pensavamo alla sua fragilità. Voglio dire, si vedeva che non stava bene ma la sua voce era perfetta, incredibile.
Torniamo ai Nirvana, come riuscisti a portarli ai Sony Studios di New York?
Fu una cosa abbastanza semplice. Nirvana ed MTV avevano un buon rapporto e poi i ragazzi erano gestiti da un management meraviglioso. All’epoca chiedemmo a molte band di prodursi in un acustico e ci parve che fosse arrivato il turno di Kurt e compagni, specialmente dopo che i Pearl Jam ne avevano fatto uno che si era rivelato un successo. Ecco, anche se non intendo raggrupparli nella stessa categoria (la temuta parola grunge!), entrambi raggiungevano un pubblico simile, quindi fu facile prevedere che la dimensione acustica potesse funzionare pure per i Nirvana. Anche se, effettivamente, erano conosciuti più per la loro musica molto rumorosa. Però era evidente che dietro ci fosse molto di più.
Come ti ponevi nei confronti di una rock band così particolare?
Cercando di essere essenziale e lasciando i musicisti liberi, interagendo solo se c’era da intervenire per risolvere un problema. Da cose più strutturali ad altre più semplici: ad esempio procurai personalmente a Dave Ghrol alcune bacchette e spazzole, ero preoccupato che il suo modo di suonare la batteria potesse sopraffare la natura acustica dello show.
E sulla setlist? Potesti dire la tua?
No, la band scelse in autonomia scaletta e band di supporto, i Meat Puppets. Come detto, non volevo interferire, volevo si sentissero liberi. Anche se ammetto che un po’ di ansia mi venne quando scorsi che nella setlist mancavano alcune hit importanti. Però alla fine il concerto è passato alla storia, quindi mi sbagliavo, avevano ragione loro!
Qual è il pezzo che ti emozionò di più quella sera?
Ehm, forse la mia preferita è Lake Of Fire con i Meat Puppets, anche se adoro la voce di Kurt in Where Did You Sleep Last Night. La sua esecuzione fu fantastica.
Sulla location faceste un lavoro unico: candele, lucine, fiori.
MTV Unplugged ha sempre avuto un’atmosfera delicata e leggera che si adattava alla musica e che faceva sentire gli artisti a proprio agio, un po’ come in un grembo materno. Abbiamo variato scenografia per ogni artista, dove potevamo. Per i Nirvana siamo partiti dalla grafica di “In Utero”, ma poi fu Kurt a suggerirmi i gigli orientali e le candele, il nostro scenografo Tom McPhillips li andò a comprare di corsa e ci adornò lo stage. Utilizzò anche una serie di tende ad anelli che cadevano sul palco. Molto bello.
Un intervento che partecipò a creare l’atmosfera magica del concerto. Riuscisti a godere della serata o eri troppo preso con l’organizzazione?
Ero in sala quando i Nirvana si esibivano e mi sono goduto tutto, completamente. Mi staccai poco perché davvero poco andò storto, fu quasi un “buona la prima” per ogni cosa.
Venticinque anni dopo “MTV Unplugged in New York” è ancora uno dei dischi più amati dei Nirvana. Perché a tuo parere?
Perché show e album sono diventati il modo in cui abbiamo pianto collettivamente Kurt e la fine della band. Nessuno lo sapeva in quel momento, ma quello era il loro testamento spirituale.
Pensi sia l’Unplugged di maggior successo della serie di MTV?
Dipende da cosa intendi per successo. Altri show dovrebbero aver venduto più copie, mi viene in mente Eric Clapton. Però, certo, quello dei Nirvana è una sorta di copertina di cosa è stato MTV Unplugged, lo show definitivo. Poi, se mi chiedi un’opinione strettamente personale, amo i miei figli tutti allo stesso modo, quindi davvero non posso sceglierne uno.
Qual è la band che più rimpiangi di non aver portato all’acustico?
Tante purtroppo, ad esempio U2 e Guns N’ Roses.
Sono passati trent’anni dal primo MTV Unplugged, era il 1989. Oggi pensi abbia la stessa efficacia di un tempo?
Beh, oggi perché possa funzionare con gli artisti attuali e conquisti l’interesse dei giovanissimi spettatori di MTV, deve seguire linee guida diverse. Mi spiego: ciò che rendeva speciale i vecchi Unplugged era il mostrare la natura di partenza delle canzoni, il modo in cui erano state concepite dai propri autori, messe a nudo solo con chitarra e pianoforte. Ecco, molta musica oggi non è composta in quel modo, quindi sarebbe un falso rendere acustico qualcosa che acustico non è mai stato. Più autentico è mettere in scena strumentazioni come laptop o campionatori, solo in quel modo le canzoni si rivelerebbero per quello che sono.