Passare dal caos e dai lustrini di Londra agli sconfinati paesaggi naturali delle coste irlandesi non può non avere effetto su qualsiasi essere umano, a maggior ragione se quel qualcuno è un musicista alla ricerca di pace e nuovi equilibri di vita. Anna B Savage ha compiuto esattamente questo percorso ed è arrivata a You & I Are Earth, il suo terzo lavoro in studio, il primo di quella che per certi versi è una persona “nuova” (qui la nostra recensione). In occasione della pubblicazione del disco abbiamo scambiato qualche battuta con Anna, parlando ovviamente della realizzazione dell’album ma anche di ciò che ha significato per lei l’Irlanda sotto tutti i punti di vista.
Anna, sembra proprio che “You & I Are Earth”, il tuo nuovo album, sia anche il tuo lavoro più “luminoso”, passami il termine. Questo corrisponde anche, in qualche modo, a una tua ritrovata serenità?
Grazie! Lo penso anche io. Sì, corrisponde assolutamente ad una mia ritrovata serenità. Penso anche che sia bello realizzare cose che siano semplicemente… piacevole. Soprattutto in questo momento del mondo, sembra che potersi sentire bene e fare qualcosa di carino sia un privilegio incredibile.
Il folk è sempre stato nelle tue corde, ma in questo disco è indubbiamente diventato il tratto predominante. In questo senso quanto e in che modo ti ha influenzato la tua permanenza in Irlanda?
Ah, è interessante che tu pensi sia sempre stato nelle mie corde! Sicuramente in questo disco sono influenzata in modo molto esplicito dal folk e, ovviamente, vivere in Irlanda ha contribuito. La mia esperienza di vita sulla costa irlandese è stata davvero estrema: anche se qui ho trovato vera pace e gioia, il paesaggio può anche essere piuttosto aspro, drammatico e selvaggio. E volevo essere in grado di provare ad esprimere tutto questo nell’album. Sento che la musica irlandese stia (giustamente) vivendo un ENORME momento di questi tempi – in generi diversi – ed è stata una vera gioia poterlo testimoniare e poter incontrare e suonare con alcuni degli incredibili musicisti che stanno contribuendo a questo momento della musica irlandese.
Ci sono passaggi all’interno dell’album, ad esempio “Mo Cheol Thú” e il seguente interludio “Incertus”, che sembrano senza tempo, potrebbero essere stati registrati 50, 40, 20 anni fa o anche oggi, indifferentemente, tanto è la loro profondità espressiva. Secondo te c’è un filo conduttore che lega il folk dal passato a oggi, da Nick Drake (che non cito a caso) ad Anna B Savage?
Beh, wow, è molto gentile da parte tua. Grazie. Non sono assolutamente un’autorità in fatto di folk, trovo solo che certa musica (Nick Drake è uno di loro) ti colpisca dritta all’anima. Mi chiedo se sia questo il collegamento: essere in grado di trasformare un sentimento molto specifico in musica. E quando è il più vicino possibile, è questo che fa sembrare qualcosa senza tempo? Non saprei, forse.
Nell’album ci sono archi e strumenti a fiato, in piena tradizione folk. Ci sarà una band a supportarti dal vivo e ad aiutarti a riprodurre tutto ciò anche sul palco?
Ah sì, c’è stato tanto lavoro sui suoni di questo disco. Purtroppo non ho un budget infinito, quindi le esibizioni dal vivo non vedranno una riproduzione esatta di queste canzoni. Spesso saremo solo io e una chitarra, quindi potrete ascoltare lo scheletro delle canzoni invece che le versioni dell’album. Sto cercando di mettermi nelle migliori condizioni possibili, ma onestamente i costi al momento sono proibitivi e non mi è possibile andare in giro con una sezione di sei fiati, un quartetto d’archi e una band (a volte neanche con la sola band!).
Puoi dirci qualcosa riguardo i field recordings che si sentono di tanto in tanto nel disco? Lo scorrere dell’acqua, il canto di qualche uccello… danno davvero un’idea sul dove hai tratto ispirazione.
Beh, mi è sembrato molto importante collocare geograficamente quest’album in Irlanda, ho pensato che un modo davvero carino per farlo, che ho già visto fare in modo eccellente ad altri (come a King Creosote e Jon Hopkins su “Diamond Mine”), fosse quello di usare gli effetti Foley esattamente da quel posto. Spesso questi suoni sono stati effettivamente ricreati dai musicisti che suonano sul disco, quindi sì, a volte puoi sentire il mare, ma a volte è il mio batterista Joe che fa suonare il rullante come il mare. Allo stesso modo, sì, a volte ci sono registrazioni di uccelli, ma altre volte non stai effettivamente ascoltando gli uccelli, stai ascoltando Kate Ellis che fa suonare il suo violoncello come un gabbiano. È tutto piuttosto magico, davvero.
Sei d’accordo con me se ti dico che, da un punto di vista concettuale, la tua narrativa è diventata più “universale”? Se sì, da dov’è venuto questo bisogno di “distacco” da una narrativa più incentrata su te stessa?
Non sono sicura di essere d’accordo, ma sono contenta che esca fuori in questo modo. Penso che ci sia un intrinseco egocentrismo nel disprezzo di sé e nell’odiare se stessi, quindi l’aver cercato di eliminarlo dalla mia vita privata ha forse significato che risulti meno evidente anche nella mia musica. Il che non può che essere un bene, secondo me.
Chiuderai il tour del disco in Italia, a Milano, a fine Aprile. Ti abbiamo vista qui in città qualche mese fa quando hai aperto per St. Vincent. Puoi dirci qualcosa riguardo l’esperienza di essere andata in tour con una vera leggenda come Annie Clark?
Sì, sono felicissima di tornare! È stato entusiasmante quel tour, ho percepito come se il suo pubblico fosse davvero “devoto”. Ho suonato ogni sera in un locale completamente pieno, le sono incredibilmente grata per essere una musicista e un’artista così incredibile, per aver creato fan così devoti e per avermi permesso di testimoniare dal vivo un po’ di tutto ciò! E sono incredibilmente grata anche verso tutte le persone che sono arrivate “presto” e sono riuscite a vedere il mio set. Che gioia.
Ultima domanda: com’è cambiata Anna in questi anni, da “A Common Turn” a “You & I Are Earth”? Intendo come essere umano prima che come artista.
Direi un grande bel cambiamento. Come accennato in precedenza, è stato un viaggio lungo e tortuoso, ma in fin dei conti positivo, verso il non odiarmi più. Sono più gentile e accondiscendente con me stessa e sono diventata più brava a usare parte di quell’energia risparmiata per fare cose buone – come fare musica – piuttosto che per abbattermi.