6 Agosto 2009: Bonnie ‘Prince’ Billy, al secolo Will Oldham, è decisamente un tipo fuori dal comune. Basterebbe una fotografia, semplicemente quella, per capirlo. Basterebbe notare il suo sguardo, le sue espressioni, il suo aspetto poco ordinario, la barba lunga e scomposta. Basterebbe tutto questo, prima ancora della musica. Già, prima ancora della musica. Ma la musica, da un momento all’altro, entra in scena. E ci regala un’altra prova, ci regala decine di prove a supporto della nostra tesi, ci regala una consapevolezza sempre più grande nell’affermare che, sì, questo tizio ha qualcosa di speciale. Qualcosa di strano. Solo che ancora non hai la certezza. Ancora non sei così sicuro, alla fine dei conti. Finché non te lo trovi davanti, il cantautore di Louisville. Finché non lo guardi in concerto. Finché non scambi con lui quattro chiacchiere o, come nel nostro caso, persino qualcosa in più. Nell’arieggiata cornice del Qubba, infatti, il Principe si concede ai microfoni de Il Cibicida, in una calda serata d’Agosto, parlandoci del suo ultimo lavoro in studio, “Beware”, e molto altro. Più che un report classico, quello che vi proponiamo – o meglio: quello che è corretto proporvi– è una specie di racconto. Perché sarebbe incompleto, perché sarebbe ingiusto fornire semplicemente domande e risposte, in questo caso. Sarebbe ingiusto, nei confronti dell’artista. Nei confronti dei fatti. Nei vostri confronti. Le maschere, la mimica facciale, i gesti di Will Oldham fanno assolutamente parte di questa conversazione più di ogni altra. E sarebbe di certo un peccato limitarci allo scambio “professionale”, tralasciando il personaggio, il lato umano. Sarebbe una carenza ingiustificata. E non sarebbe, al di là di ogni cosa, il nostro modo di fare giornalismo.
Perché la scelta del titolo “Beware”? Da cosa volevi mettere in guardia l’ascoltatore?
Beh, hai ascoltato il disco? Se l’hai ascoltato dovresti conoscere già la risposta, giusto?
Certo che l’ho ascoltato! Però non tutti hanno avuto occasione di farlo...
Vorrà dire che anche loro dovranno ascoltare l’album per saperlo! (Ride, ndr)
In “Beware”, la malinconia assume i tratti di una dolce rassegnazione. Sembra che il tuo rapporto, la tua visione dell’amore, sia mutata rispetto ai tempi di “I See A Darkness”…
No, non penso di essermi rassegnato, sai? Sarebbe una cosa terribile, quindi spero proprio che nulla sia cambiato da allora, in questi termini.
“Beware” è stato presentato come “il più grande e ambizioso album di Bonnie ‘Prince’ Billy”. Sei d’accordo con questa affermazione della tua casa discografica, la Domino? Perché?
(Ride, poi assume un’espressione a dir poco perplessa, ndr) No, non sono d’accordo. Non è ciò che penso, onestamente.
Palace, Palace Songs, Palace Brothers… sono parecchi gli pseudonimi che ti contraddistinguono, ma negli ultimi anni hai scelto di comporre musica semplicemente come Will Oldham o Bonnie ‘Prince’ Billy. Qual è la differenza tra loro due?
Bonnie ‘Prince’ Billy è… musica, canzoni. Compone musica da dieci anni, e canzoni, su canzoni, su canzoni, su canzoni. Will Oldham fa anche altro, semplicemente. Questa è la differenza principale, quella più importante.
La solitudine è una conseguenza o la base della musica di Bonnie ‘Prince’ Billy?
(Arriccia la fronte, e si tocca la barba prima di rispondere, dopo qualche secondo, ndr) Né l’una, né l’altra. È piuttosto il prezzo che c’è pagare. Sì, proprio il prezzo che c’è da pagare.
L’artista, ad oggi, può guardare al suo lavoro ancora in maniera romantica? Nonostante il mercato che cambia volto, il web, la promozione che passa per internet…
Ma certo! (Lo dice in un italiano maccheronico, ma ben scandito, regalandoci una maschera difficile da rendere a parole. Un sorriso sulle labbra ed una forte convinzione, ndr)
Quanto è stato importante per la tua musica, per la tua vita, l’ascolto di Johnny Cash? E poi, naturalmente, la possibilità di suonarci assieme?
(Fa un respiro profondo, perde lo sguardo nel vuoto. Trascorrono più o meno dieci, quindici secondi, ndr) È difficile, difficilissimo esprimere con poche parole quanto lui e la sua musica abbiano fatto per me. (Fa ancora una breve pausa, ndr) E… suonare con lui è stato come… morire, e poi andare in paradiso o qualcosa di simile…
Sei l’autore di uno degli scatti più famosi della storia del rock, quello della copertina di “Spiderland”, degli Slint. Puoi raccontarci come andarono le cose? Fu del tutto casuale?
Beh, in quel periodo scattavo moltissime fotografie nell’ambiente musicale di Louisville… tante, tantissime foto. Loro avevano bisogno di qualche foto, così un giorno andammo fuori, andammo a nuotare in uno dei nostri posti preferiti. Così a un certo punto eravamo tutti in acqua, e l’acqua era davvero profonda, e stavamo semplicemente nuotando. Io ho impugnato la macchina e mi tenevo a galla senza mani, perché volevo cogliere quell’attimo. Eravamo semplicemente degli amici che nuotavano.
Sei uno degli artisti più prolifici del panorama attuale, le tue uscite hanno quasi una cadenza semestrale. Ergo ci chiediamo: dobbiamo aspettarci un nuovo album a breve? Puoi anticiparci qualcosa?
Ancora un’altra maschera, l’ennesima. E le dita sulle labbra, quasi a dire: no comment. E poi un sorriso, e il congedo finale. Nella speranza che questo, parafrasando un brano tratto dall’ultimo “Beware”, sia più un “hello” che un “goodbye”.