Britt Walford ha cambiato montatura. Non porta più quegli occhiali neri e tondi che aveva a vent’anni. Nel gioco degli specchi rotti, ora, a cinquantadue anni, conserva al massimo la stessa chioma (seppur incenerita) di quando sedeva sulla batteria degli Slint a inizio Novanta, ma non di più. Anzi, un altro tratto l’ha mantenuto: questo sguardo un po’ malinconico seppur velato da un sorriso accennato, come quello stampato sul famoso scatto di Will Oldham per la copertina di “Spiderland”. Non è un momento banale per i musicisti della sua generazione, un mondo – quello del rock alternativo, dell’indie – che si è gradualmente accartocciato. La rapidità dei 2000 ha di fatto spazzato via una maniera di vivere la musica, più lenta, naif, legata alla folgorazione del momento e meno a un progetto calcolato. E poi ci sono anche gli ascoltatori che hanno mutato abitudini, sferzate da colori luccicanti, da ritmi indiavolati, di produzione, di fruizione, di tutto. C’è una frase, in questa chiacchierata con Britt, che mi ha colpito più di altre, lui dice: “La musica per me è stato un percorso spaventoso”. Che significa proprio ciò a cui state pensando: dietro a quei dischi c’erano ragazzi che galleggiavano su un lago nero pieno di insidie, ed era nella sopravvivenza che emergeva la spinta per certe canzoni. Il suono della sua batteria è secco in un pezzo come Nosferatu Man, scrosciante in Breadcrumb Trail, è bradicardico in Washer. Senza contare i rulli grassi nell’intero “Tweez”. Una gamma indimenticabile. Con Britt ci sentiamo dopo che, sulla sua pagina Facebook, ha pubblicato un annuncio in cui si propone per suonare in tour. Un batterista epocale come lui a offrirsi sui social. Strane dinamiche di questi tempi: tempi di pandemia e di nuovi paradigmi. Walford però non si formalizza e, con la semplicità che lo contraddistingue, mi spiega tutto.
Britt, partiamo proprio dal tuo post su Facebook.
Ho scritto quell’annuncio perché mi piace suonare e vorrei incrementare la mia attività. E poi perché mia figlia è andata al College e quindi ora ho più tempo libero da dedicare alla musica. Sto solo cercando una band da cui partire.
È difficile lavorare con la musica?
In America la maggior parte delle persone non guadagna suonando.
È una frase forte. Ma c’entra la pandemia o che altro?
No. L’effetto della pandemia è più legato a un numero inferiore di spettacoli, almeno qualche mese fa, ma il tema era caldo anche prima. Non fraintendermi: molte persone hanno dovuto combattere e hanno perso un mucchio di soldi, ma è il fatalismo con cui si accetta tutto questo – come fosse una situazione ovvia – che mi stupisce.
Spiegati meglio…
La difficoltà principale dell’essere un musicista è simile a quella di altri artisti: riuscire a sopravvivere producendo la propria arte. La società, specialmente in America, non sempre valorizza l’arte retribuendo a dovere gli artisti. La sfida maggiore dell’essere musicista, oltre a trovare collaborazioni per la pubblicazione del proprio lavoro, è la montagna di tempo libero perso per strada.
Parlando più specificatamente di te, fare il musicista quanto ti ha dato e quanto ti ha tolto? È una strada che consiglieresti?
La musica per me è stato un percorso spaventoso, ma non avevo molta altra scelta. Mi è sempre piaciuto solo fare musica. Ho altri interessi certo, ma niente con abbastanza approfondimento da farci un lavoro. Tutto ciò che faccio, oltre a suonare, può sembrare un fallimento, ma perché è sempre stata la musica a guidare. Io credo che la musica sia più qualcosa che devi fare più che scegli di fare. A un giovane che sente la necessità di suonare, gli direi di fare di tutto per farlo, anche morire. Non importa cosa si pensa o cosa ci si aspetta, conta solo ciò che conta per te.
È quello che faceste con gli Slint? Suonare senza calcoli.
Beh, non so se un disco come “Spiderland” oggi verrebbe pubblicato. Presumo che comunque sarebbe diverso, ma non posso dirlo. Non ho idea dell’accoglienza che avrebbe.
Credi che una certa magia si sia spenta per quel modo di fare rock?
Ma sai, non sono neanche sicuro di cosa rappresenti il rock in questi tempi, ma sì, forse può sembrare più difficile inventare cose eccitanti. Detto questo, per me alcune band lo fanno.
C’entra forse anche il gusto degli ascoltatori che è cambiato? Sono cambiati gli ascoltatori secondo te?
Mi pare che ne sappiano di più e che si interessino di più rispetto a quando ero giovane io. Sono più consapevoli.
Forse il contesto rende tutto più commerciale. Ai tempi di “Spiderland” voi poteste permettervi di non fare promozione.
Per la natura di quel disco, e anche a livello più generale, avevamo opinioni molto scettiche sulla commercializzazione e il marketing riguardo alla band. Volevamo solo che le persone sentissero la nostra musica attraverso il passaparola invece che attraverso la pubblicità. Spot di qualsiasi tipo ci sembravano incongruenti con quello che stavamo facendo. Poi, vabbè, penso che non abbiamo fatto molte interviste anche perché quasi nessuno voleva fare interviste con noi.
Poi come alle volte accade siete diventati band culto senza volerlo. Vi sentite ogni tanto con Brian e David?
(Non risponde)
Ok, ci provo, ma ho già capito. Possibilità di vedervi di nuovo in giro?
Penso ci siano pochissime possibilità di una nuova reunion degli Slint.
Lo sospettavo. L’ultimo vostro concerto è del 2014. In Italia suonaste al Bloom di Mezzago.
È stato fantastico suonare quella volta al Bloom.
Torniamo a te, che batterista sei oggi? La band che ti ingaggia cosa trova?
Non so come sia cambiata la mia batteria negli anni, di sicuro spero sia migliorata.
Vivi ancora a Louisville?
Sì, vivo lì, è ancora una città piena di musica rock, anzi più di prima. Le band e la scena di oggi sono altrettanto avvincenti e originali.
Britt, ti saluto chiedendoti: qual è oggi il tuo obiettivo?
La vita in famiglia e con gli amici, così come l’apprendimento e il pensiero di politica e filosofia.