Bugo seduto sul trono con la corona in testa. Evviva Bugo! La locandina colorata di verde acqua che campeggia nei negozi di tutta Italia è quella della cover del disco “Sguardo Contemporaneo”, album che Christian Bugatti (in arte Bugo) da Novara ha dato alle stampe da qualche mesetto ormai. Ciò che rappresenta il cantautore piemontese per il rock italiano è la rivincita dell’ironia sul “cattivo umore” degli artisti nostrani. O forse, è meglio dire, la rivincita della spontaneità sull’artificio di band nutrite meccanicamente di inquietudine artistica. E lo si capisce bene anche dalla spettacolare intervista che il Bugo nazionale ha rilasciato alla nostra redazione proprio poche ore prima della tappa catanese del suo tour estivo. Ironia senza peli sulla lingua, grande facilità nella risposta e smisurato carisma beffardo: tutto questo è Bugo ai microfoni de Il Cibicida.
Il produttore del tuo ultimo disco “Sguardo Contemporaneo” è Giorgio Canali, che Il Cibicida ha avuto il piacere di intervistare tempo fa. Che tipo di lavoro ha fatto nei suoni, ma anche nell’impostazione concettuale del disco?
Quindi… beh… ho conosciuto Giorgio cinque anni fa, già da tempo volevamo lavorare assieme. La stima è reciproca, sicuro. E poi, per questo disco qua, avevo pronte alcune canzoni rock molto dirette… mi sembrava la persona adatta per farle venire fuori. Cioè, quella di Giorgio è stata una scelta di amicizia, ma anche una scelta artistica. Lui infatti è stato bravo a trovare nei pezzi il suono diretto, preciso, potente, senza troppe menate. Ed è stato fondamentale anche nel lato più intenso del disco, ed è pazzesco come sia riuscito ad arrivare ad un livello di intensità impressionante. Alcuni fan non hanno accettato i pezzi più profondi e pensierosi. Secondo me quei fan non hanno capito un cazzo di me. Non vogliono vedere i vari lati di un carattere come il mio, io non ho mai voluto essere unilaterale.
Il titolo dell’album sembra suggerire un significato politico…
In parte si, forse più sociale che politico. Ha dei testi di stampo sociale e di rapporti con le persone come “Che Lavoro Fai?”.
E la corona che indossi in copertina?
Eh, quella corona è un tentativo di essere una specie di imperatore di me stesso, non è provocazione. Qualcuno mi ha pure detto che volevo prendere per il culo Elvis. Cazzo, sembra sempre che quello che faccio è per prendere per il culo la gente. In realtà non è così. Io distinguo la presa per il culo ed il gioco. Quindi la corona è un po’ un modo per auto-incitarmi, anche se poi il tutto viene smentito ed ironizzato dal fatto che la poltrona dove sto seduto è molto più grande di me. Non so se sta cosa si è percepita…
Le recensioni della critica si dividono spesso nel giudicarti: c’è chi dice che sei un genio, altri che sei demenziale, un idiota. Che tipo di reazione hai davanti ai giudizi, che effetto ti fanno?
Bah, le recensioni mi turbano sempre, sempre! Se potessi farne a meno… senza offesa ma anche le interviste mi turbano un po’ (ride). Io faccio la mia musica, quando quelli dicono “Bugo è un genio” è per fare la figata di dire “Ehi uè, io ho scoperto Bugo, Bugo è figo”. Fa parte del gioco, insomma. Quelli che dicono che sono un idiota, poi, magari c’hanno pure ragione; la vita va affrontata in modo problematico, ma anche con la lucidità e la leggerezza dell’ironia. Ed io nella mia musica ce la metto. Poi non tutti la capiscono, però vabbè. Non voglio piacere a tutti, alla fine chissenefrega.
E’ un po’ il concetto che viene fuori dalla brano “Rimbambito”?
Vero, bravo. Quel brano lì un po’ riassume il concetto. Ti ripeto, forse l’ambiguità che metto nella musica alle volte è letta con la superficialità che porta l’ascoltatore a dire “ou, Bugo è un coglione, senti che dice qua”. Non mi importa molto. Chi vuole conoscermi lo fa, chi invece no magari si tiene la convinzione che sono un idiota. C’è molta superficialità nel prendere la mia persona.
Che rapporto hai con la lingua inglese? Nei titoli dei tuoi brani spesso ti diverti a storpiarla. Non hai mai pensato di cantare in inglese come molti dei tuoi colleghi italiani che fanno rock?
Non canto in inglese perchè sono italiano. Cazzo, Bob Dylan non ha ma scritto in italiano, in francese o in spagnolo. Molti ragazzi scrivono rock in inglese e io penso “cazzo fai!?!”. Quelli sono passeggeri del rock perchè prendono un aereo, ma poi scendono subito. L’inglese non è mio, senza la mia lingua non potrei mai scrivere parole d’amore alla mia ragazza, esprimere sentimenti di rabbia. O scrivere brani di divertimento come “Ggeell”. Poi la mia musica non è commerciale, oltre al fatto che l’inglese lo pronuncio malissimo. Io vengo da un ambiente in cui si abusa dell’inglese… anche io vengo dalla musica americana, per carità, sono figlio di quella roba li, o forse anche schiavo. Ma solo con la mia lingua madre so dire le cose che dico. Cazzo, alle volte mi spiace, vedo dei ragazzi che cantano in inglese e che potrebbero essere più originali, più incisivi. Un vero peccato.
Quindi non condividi la scelta degli Afterhours che hanno prodotto la versione inglese di “Ballate Per Piccole Iene”…
Già quello è più difficile. Quella è una scelta anche e soprattutto promozionale. Magari lo farei anch’io se dovessi portare un singolo a New York. E’ più difficile questo caso… anche perché non giudicherei la scelta di Manuel Agnelli…
Loro hanno avuto problemi con i fans per la faccenda dell’inglese…
Si me lo hanno detto, a Piacenza. Si sono picchiati, vero? S’è rotto il braccio Manuel…
Tu invece ti ricordi quello che hai combinato a Catania l’ultima volta che sei venuto qui a suonare?
Si, cazzo, mi sono spaccato un occhio, con la chitarra! Si, comunque è difficile per Manuel proporre cose diverse, la gente lo guarda come un icona da maglietta e si aspetta sempre che faccia sempre le stesse cose… insomma è molto difficile… non posso giudicare… davvero.
Cosa ha cambiato nella tua musica il passaggio ad una major (la Universal, ndr) e, soprattutto, come sei riuscito a convincerli a tenere basso il prezzo dei tuoi dischi?
Semplicemente gli ho fatto un discorso maturo tra persone mature. Cioè, gli ho detto “spendiamo poco per fare il disco ed allora mettiamo il cd ad un prezzo interessante, no?”. Poi davvero non sopporto quelli che si comportano da rockstar viziate e dicono alla casa discografica “datemi cinquantamila euro per fare un disco”. L’etichetta lo mette a 22 euro e poi si lamentano che vendono poco. Mi chiedo che cazzo pretendono. Io invece cerco una soluzione buona senza pregiudizi.
Certo, la tua visibilità è aumentata notevolmente dall’uscita di “Dal Lofai al Cisei”…
Beh si, là poi ci fu il Brand: New Tour. Cavolo a me, quell’anno lì mi hanno offerto un contratto tre major… io non ci pensato neanche un secondo ad accettare. Cioè, con Bruno (Dorella, ndr) e “Bar La Muerte” siamo amici da anni. Lui è una persona intelligente e non mi ha detto niente, anzi mi ha spinto ad accettare. Ogni tappa della carriera vive di situazioni diverse.
Secondo la nostra redazione “Vorrei avere un Dio”, è uno dei brani di maggiore intensità lirica della tua carriera. Ad oggi qual è il tuo rapporto con la fede?
Oggi sono cattolico, credente. Quando ho scritto quella canzone pensavo stupidamente di non averlo un Dio, infatti è un brano che ha poco significato adesso. Però è un gran pezzo, davvero, perché è semplice, italianissimo e perché è la sintesi perfetta di profondità e ironia.
Parafrasando un tuo testo: come sarà Bugo a cinquanta anni? Riuscirà ad avere la stessa spontaneità? Che musica farà?
Bugo a cinquanta anni farà della grande musica, fratello! (ridiamo). La lotta vera nella mia maturità sarà proprio crescere con l’età che avrò, senza fare l’eterno bambino. A cinquanta anni farò musica per cinquantenni, probabilmente. D’altronde come i Rolling Stones…
E quella storia dei capelli corti? Avevi i capelli più lunghi una volta, sono migliorati adesso i tuoi rapporti con la gente?
Beh, siccome erano troppo buoni allora ho detto: “a si dai! Me li faccio ricrescere così mi faccio qualche bella litigata come ai vecchi tempi”. No dai, in realtà, a parte qualche mese, ho sempre avuto i capelli lunghi.
Ci ha sempre colpito la censura nella copertina di “Golia e Melchiorre”. Con la tua testa mozzata coperta da un adesivo. Raccontaci il perché di quella scelta.
La casa discografica consigliò di farlo perché, proprio nella settimana in cui era in programmazione l’uscita del disco, è stato decapitato un americano in Iraq. Ricordo che molti giornali avevano pubblicato la foto della mano che tiene la testa mozzata. Cazzo, quella storia mi ha colpito moltissimo. Ho pensato: “Che diavolo! Una coincidenza assurda!”. Così abbiamo optato per quell’adesivo con il beauty case che copre la testa. Però se ci ripenso ora, alla fine mi piace anche di più così.
“Ggeell” è una satira della società contemporanea? Il ragazzetto di oggi che non esce di casa senza il suo gel preferito?
Boh, le interpretazioni sono sempre giuste, figurati. Ma questo brano è nato solo ed esclusivamente per divertirmi coi miei amici. Io faccio rock n’ roll, non ve lo scordate. Con gli altri e con Giorgio (Canali, ndr) ci siamo fatti di quelle risate! Quella parte del telefono l’ho improvvisata io un giorno, mimandola con la mano.
Perché non ci fai su un musical?
Certo cazzo, mi avete dato un’idea! Un bel musical su Ggeell (ridiamo).
E “Gelato giallo” che brano è?
Quel pezzo là ha un testo già più criptico. Descrive la mia condizione di confusione sentimentale di qualche tempo fa. E’ proprio una presa di coscienza del caos che mi creava quella situazione. Nasce come una poesia, però.
Qual è il rapporto tra Bugo e la città di Milano?
Non la odio, non la amo, a volte mi piace, a volte no, c’è gente frenetica, c’è la zona dei navigli che è una zona culturalmente avanti, alle volte mi stanno sul cazzo i milanesi. Però ci vivo da tempo ormai, e quindi mi ci adatto.
Nel 2003, all’Alcatraz di Milano, hai aperto l’unico concerto degli Zwan in Italia. Hai conosciuto Billy Corgan?
Si, Billy mi aveva offerto di andare in tour con loro prima che venissero annullate tutte le tappe. Lui mi faceva: “Hai un’energia molto bella, non è vero che sei il Beck italiano, però. Fai cose diverse”. E’ stata una figata quel concerto lì.
E Robert Smith, nel 2004 al Coca Cola Live @ MTV Italy?
No, lui non l’ho conosciuto. Però i Cure non mi piacciono molto, si dai, magari qualche canzone. Ricordo che “Disintegration” quando uscì mi piacque un casino. Però alla fine è un gruppo che butterei giù dalla torre.
Ultima domanda, di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Mmm… cazzo… aspe un secondo. Eh… si, la prima cosa che m’è venuta in mente sono stati i walkie talkie…
A cura di Riccardo Marra