Marzo 2010: I Calibro 35 sarebbero dovuti nascere una quarantina di anni fa. Per quel loro mood tremendamente seventies, la passione per i polizieschi all’italiana e le colonne sonore di quegli anni, per quell’ammirazione incondizionata verso maestri come Ennio Morricone, Mario Bava, Luis Bacalov o Tomas Milian. E invece sono una band rock, fanno musica nel nuovo millennio e non hanno comunque abbandonato l’idea di “rivivere” in qualche modo il loro periodo di riferimento. Due album all’attivo, l’omonimo esordio del 2008 e l’ultimissimo “Ritornano quelli di…”, uscito a febbraio. Il Cibicida ha scambiato qualche chiacchiera con Tommaso Colliva (regia) e Massimo Martellotta (chitarra e lapsteel), un po’ la mente e il braccio del progetto Calibro 35.
Domanda: Con “Ritornano quelli di…” avete bissato il successo dell’esordio. Vi aspettavate un’accoglienza così calda, voi che fate un genere così particolare?
Tommaso: Il disco nuovo è appena uscito e i primi feedback sono decisamente buoni, speriamo che continui così. Con Calibro sinceramente ci siamo abituati a non aspettarci nulla e farci un po’ sorprendere dalle cose. Se ci avessero detto che dopo neanche due anni saremmo arrivati a fare ottanta date l’anno non so quanto ci avremmo creduto.
Domanda: La passione per il cinema poliziesco può essere considerata un po’ il collante che vi tiene uniti?
Tommaso: Direi di no. Il collante è sicuramente la musica e la voglia di fare musica in un certo modo. Le colonne sonore e l’ambientazione cinematografica dei nostri brani originali ci danno modo di fare musica come vogliamo, prescindendo dalla necessarietà della voce e dalla forma canzone, consentendoci di improvvisare ma senza cadere nel jazz.
Domanda: Le colonne sonore cui v’ispirate hanno un’impronta orchestrale, mentre voi siete fondamentalmente una band rock. Come riuscite a trasporre il tutto servendovi dei vostri strumenti?
Massimo: Ci siamo arrivati in maniera graduale provando vari approcci. Alla fine il metodo risultato vincente è stato ridurre all’osso ciò che nei brani originali caratterizzava maggiormente la composizione, e in seguito abbiamo provato a mescolare le carte originali in maniera diversa, ad esempio usando le chitarre fuzz per i temi orchestrali o l’organo al posto dei fiati in originale. E la cosa ha funzionato, sembra. C’è anche da dire che l’approccio metodologico è molto lontano dal diventare un dogma, in realtà la sperimentazione continua è tutto in questo caso.
Domanda: L’impressione è che lavoriate a decine di pezzi. In che modo avviene la scrematura e la scelta di quelli da pubblicare?
Massimo: In maniera molto difficile e dopo lunghissime discussioni e prove. Per l’ultimo disco abbiamo impiegato più tempo a decidere la scaletta che a registrarlo! Abbiamo fuori dal disco quasi un altro disco alla fine dei conti… Il fatto è che registriamo ogni volta che ce n’è l’occasione e da una parte è un vantaggio ma dall’altra è difficile non affezionarsi a ogni singolo brano, troviamo sempre un motivo valido per metterne uno piuttosto che un altro. Alla fine siamo molto soddisfatti dei brani finiti nel disco.
Domanda: La posizione dei brani nelle tracklist dei vostri album è frutto di una ricerca specifica, di una sorta di “trama” così come all’interno di un film?
Tommaso: La scaletta, dei dischi come dei concerti, è sempre un aspetto molto molto delicato. Detto ciò, non seguiamo regole ferree e non esistono sceneggiature occulte dietro la tracklist (anche se sarebbe un’ottima idea); però ora che me lo fai notare entrambi i dischi si aprono con due brani palesemente da titoli di testa come “Italia a Mano Armata” ed “Eurocrime!”, chissà magari inconsciamente la trama c’è…
Domanda: A parte qualche eccezione, siete una band strumentale. E’ stato ciò a contribuire al vostro successo all’estero oppure c’è lo zampino della passione degli stranieri per il cinema italiano degli anni ’70?
Massimo: Penso entrambe le cose. La passione per i film italiani degli anni ’70 è molto viva in Europa ma in America è pressoché nulla (a parte Tarantino, la gente comune d’italiano conosce gli Spaghetti Western). Il fatto che però in America sia comunque andata molto bene dimostra che il progetto funziona anche solo grazie alla musica stessa, e sicuramente il fatto che sia strumentale aiuta l’immediatezza della fruizione. E non è che non ci avessimo pensato…
Domanda: Com’è nata la partecipazione a “Il Paese è Reale” e cosa ha significato per voi?
Tommaso: “Il Paese è Reale” è stato un bellissimo esperimento. Pensare che al posto di un disco per Sanremo gli Afterhours abbiano prodotto una raccolta con Zu, Il Teatro degli Orrori e noi è sicuramente una cosa fuori dagli schemi della discografia italiana. Il nostro coinvolgimento è stato abbastanza semplice. L’idea di Calibro è nata durante un tour degli After in America e le prime sessions in studio sono avvenute due settimane prima delle registrazioni de “I Milanesi Ammazzano il Sabato” (e il titolo del disco degli After non è casuale…).
Domanda: Non è che un giorno mollate gli strumenti e vi mettete dietro la cinepresa?
Tommaso: Chi può dirlo, per adesso muoviamo i primi passi nel mondo del cinema cercando di mettere un pezzo qui e uno lì, per il futuro vedremo.
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto