27-08-08: Loro lo negheranno fino alla morte, ma i Diane And The Shell sono tra quelle band che, a Catania, risultano come eredi dirette della tradizione rock della città. Rock, naturalmente indipendente, naturalmente sperimentale, proprio sotto l’esempio degli Uzeda, proprio com’è il movimento musicale catanese. In bacheca, il disco “30.000 Feet Tarantella” (2006), pubblicato per l’americana Australian Cattle God, ha mostrato la perfetta sintesi di cosa sono i Diane oggi: elettricità estrema, dissacrazione, ironia, perdifiato, stratificazione sonora. Ed ha aumentato la curiosità su un gruppo che sa spiazzare scioccando, ma che poi fa sogghignare con la ironia di certe scelte (cliccate sul loro sito web dianeandtheshell.net). Il Cibicida ha intervistato Giuseppe (Peppe) Schillaci, basso frenetico dei Diane And The Shell…
Domanda: Peppe, i Diane And The Shell suonano una musica senza confini di spazio e di tempo. Che ne dici di questo inizio?
Peppe: Grazie! Dico che è un bel modo per dire che la nostra attitudine musicale è indipendente a livello mentale e che viene influenzata da qualsiasi cosa: dalla vita quotidiana, da un libro o da un’esperienza particolare. Insomma, cerchiamo di personalizzare la nostra musica provando a trovare un’originalità. Pensa che molto spesso siamo affascinati dalle musichette dei videogiochi della generazione a 8 e 16 bit… quindi…
Domanda: In tutto questo, Catania vi soddisfa? C’è chi la esalta, c’è chi puntualmente ne critica l’assenza di sale da concerti, locali “fatti” per la musica, infrastrutture…
Peppe: Catania, durante i “nineties”, ha cavalcato quell’onda rockettara che si diffondeva in occidente producendo musica, band e tanti concerti. Così c’è chi serba un buon ricordo e pensa che tutto non possa essere stata solo una moda temporanea. Oggi la situazione qui nel catanese è molto più difficile, i posti per suonare non mancano, ma forse chi gestisce i club predilige altri tipi di musiche rispetto al rock indipendente ed alle band più “sperimentali”. Credo che il tutto sia forse legato ad un movimento più ampio di perdita di interesse verso il rock ed “i suoi derivati” più strampalati e assurdi (un po’ come ci sentiamo noi).
Domanda: Ma rimane una città ancora ricca di personalità rock di un certo spessore, vedi gli Uzeda. So che frequenti spesso il negozio di dischi di Agostino Tilotta e Giovanna Cacciola…
Peppe: Senza gli Uzeda non penso avrei scoperto certi tipi di musiche. Da parte loro sono stati tanti gli sforzi sia per aprire un negozio di dischi dove puoi beccare cose altrimenti introvabili, sia per l’impegno nell’organizzazione di concerti stupendi: Fugazi, Make up, Unwound, Shellac, solo per citarne qualcuno. Andare da Indigena non è solo andare in un negozio di dischi. Ago e Giovanna sono sempre lì assieme agli album ed agli strumenti che vendono. La loro esperienza è stata fondamentale per la Catania dell’indipendente. Tu che sei catanese come me, lo puoi confermare.
Domanda: Senti, parliamo di “30.000 Feet Tarantella” uscito nel 2006. Com’è nato quell’album?
Peppe: Il disco è nato dalla voglia di sperimentazione accumulata negli anni. Suoniamo insieme dal ’97, ma nel 2005 ci siamo ritrovati con un nucleo di pezzi in cui credevamo davvero. Pezzi creati in sala prove in piena allegria, influenzati dai nostri gusti e un po’ anche dal Barnetti (imitazione economica del Martini) che compravamo nel market accanto la sala. Da qui, dopo una lunga gestazione, abbiamo riversato il materiale su bobina e poi confezionato il tutto su un dischetto argentato che ha avuto la fortuna di uscire per Australian Cattle God Records, giovane etichetta di Austin che ha deciso di pubblicare “30.000 Feet Tarantella” nel 2006.
Domanda: C’è una caratteristica che segna “30.000 Feet Tarantella” fra le altre: l’aggiunta di strati elettrici su strati. Sono addizioni strumentali e poi sottrazioni. Un saliscendi che un po’ sa di post rock (i famosi alti e bassi dei Mogwai), ma che spesso viene definito math rock…
Peppe: Sicuramente nell’ambito del post rock c’è più spazio per certe sperimentazioni, poi quando fai i conti con dei brani strumentali ti impegni per evitare le cose più banali. Noi, per quanto possibile, cerchiamo di sbalordire un po’ l’ascoltatore con cambi repentini e stratificazioni sonore sempre più corpose. I Mogwai, li eviterei. Se proprio ti devo dire chi ci piace non posso non fare nomi come The Redneck Manifesto (prodotti da Australian Cattle God negli U.S.A.), Don Caballero e Battles. C’è qualche brano forse un po’ più riflessivo nel disco che qualcuno potrebbe dire “più post”, ma non c’abbiamo problemi di etichette o altro, facciamo e suoniamo quello che ci sentiamo sul momento, se il risultato piace a tutti e quattro, ecco che è nato un pezzo, e poi si parte per farne un altro.
Domanda: Parliamo dei live… voci narrano che avete in programma un tour in Irlanda…
Peppe: Dopo vari tour italici e l’esperienza americana, questa volta è il turno dell’Irlanda. A ottobre staremo una settimana in giro con i Jezery, una band di Cork che abbiamo conosciuto tramite uno dei suoi componenti. Jimmy ci ha scoperto grazie all’etichetta ed alla connessione con i The Redneck Manifesto. Ci ha scritto dicendo che la musica gli piaceva e, chiacchierando, è uscita fuori l’idea di farci un tour assieme in Irlanda. Speriamo di ricambiare il favore e fargli fare un giretto qua in Italia la prossima primavera, sarebbe bello riuscire anche a fare una data a Catania con loro… chissà…
Domanda: E invece che mi dici del materiale nuovo, quando arriverà il successore di “Tarantella”?
Peppe: Ci stiamo lavorando. Sai, credo che come tutte le band alle prese con un nuovo lavoro, vogliamo dare e fare di più rispetto a “30.000 Feet Tarantella”, e da questo punto di vista l’elaborazione dei nuovi brani ci sta portando via abbastanza tempo anche perchè siamo molto pignoli e cerchiamo di fare meglio. Come dice un mio caro amico: “bisogna andare oltre quello che già abbiamo fatto”. Siamo più o meno a metà dell’opera, nel frattempo aggiungo che nel creare i pezzi nuovi ci stiamo divertendo un mondo. L’ironia è fondamentale nella nostra musica, soprattutto come “attitudine” umana.
Domanda: Pubblicherete sempre per la ACG?
Peppe: Guarda, se all’ACG interessa il nostro nuovo materiale non credo ci sarebbero problemi nel mollargli il master… è una etichetta piccola ma con tanta voglia di fare, l’unico neo è che non è distribuita ufficialmente in Europa, quindi qui nel vecchio continente la promozione è affidata a noi stessi. Comunque il disco lo puoi trovare su Ebay e su Amazon, quindi non è un grosso ostacolo.
Domanda: Da indipendente, che opinione hai sulla deriva del mercato discografico?
Peppe: Io sono per l’acquisto oculato, cioè se scarichi un disco di Madonna stai tranquillo che non ci perde niente, quando invece scarichi un disco di una band veramente indipendente, beh, la differenza c’è. Io compro dischi prevalentemente durante i live, so che cosa vuol dire vendere un cd o una t-shirt dopo un concerto (panini, birra, copertura spese varie e via dicendo), quindi supportare un certo tipo di musica secondo me garantisce ottimismo e fiducia alle piccole band che cercano di portare avanti le loro idee aldilà di logiche commerciali e fronzoli da rockstar.
Domanda: Ultima domanda di rito: se ti dico “Cibicida” cosa ti viene in mente?
Peppe: Un enzima antipatico che cerca di guastarmi il pranzo, ed il vostro intento è quello di sottrarre gli altrui pasti!
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra