Luglio 2008: Indipendenti, newyorkesi d’adozione, elettrici. Sono gli Enon di John Schmersal, Toko Yasuda e Matt Schulz. Il trio americano è recentemente tornato in pista con il disco “Grass Geysers… Carbon Clouds” dopo qualche anno di riflessione. Il risultato? Probabilmente il loro miglior lavoro: asciutto, diretto, fresco senza compromessi. In una parola: indie. Il Cibicida ha incontrato virtualmente John Schmersal…
Domanda: L’anno scorso siete tornati con “Grass Geysers… Carbon Clouds”, quattro anni dopo l’ultimo “Hocus Pocus”. Cosa è successo in tutto questo tempo?
John: Beh, non dimenticare la nostra raccolta cd/dvd “Lost Marbles and Exploded Evidence”. Perchè non era un classico “the best”, abbiamo speso molto tempo, energie e amore per il remissaggio e per tutto il lavoro di packaging. Quindi in realtà sono intercorsi solo due anni tra i due dischi in studio. Io e Toko ci siamo trasferiti a Philadelphia da New York e ci siamo presi il tempo per ambientarci. Ho iniziato a suonare materiale in assoluta libertà tra le altre cose per il Sundance Film Channel e per la soundtrack di un film indipendente chiamato “Tie a yellow ribbon”. Tra l’altro nel nostro nuovo appartamento abbiamo costruito un “corredo” di registrazione per produrre e registrare la musica di altre band.
Domanda: Ascoltandolo appare l’album più compatto degli Enon…
John: Sì il sound è molto più compatto e asciutto rispetto al solito. Volevamo essere un po’ più diretti nell’approccio. Il titolo vuole implicare un tipo di bipolarità che si mostra nell’inizio folle e, poi, nella fine colma di note scure.
Domanda: Qualcuno l’ha definito “il ritorno del sound degli Brainiac”, la tua ex band. Che ne pensi?
John: Non è un errore. Ho volutamente usato gli effetti di chitarra che usavo ai tempi dei Brainiac. Avevo evitato di suonare in quel modo da quando gli Enon iniziarono a suonare. Poi l’anno scorso con il decimo anniversario della morte di Tim Taylor (cantante dei Brainiac deceduto in un incidente d’auto, ndr) ho pensato che era arrivato il momento di rispolverare quel tipo di suono di chitarra e adattarla al suono degli Enon.
Domanda: Voi, i Blonde Redhead, gli Interpol. Esiste una scena di rock newyorkese?
John: No, non direi. Perché stare a New York è differente che suonare in un piccolo ambito come ad esempio quello dell’Ohio. E’ una città davvero troppo grande perché si possa parlare di “scena”. Ripeto non è l’Ohio o Athens in Georgia, è invece una città da milioni e milioni di abitanti e da centinaia di band completamente diverse tra loro. Ora sono andato via da lì, mi mancano gli amici, mi manca il cibo squisito, mi manca quel qualcosa che non esiste da nessuna parte: una certa vibrazione culturale. Ma era troppo dispersiva…
Domanda: Avete suonato a Catania come ospiti della rassegna “Indie Concept”. Parlaci del vostro rapporto con la indipendente Touch & Go che vi produce…
John: Touch & Go è ancora una grande etichetta dopo tanti anni. Il roster e gli stili delle band sono cambiati e diventati più eterogenei, ma l’etichetta non ha mai cambiato il modo di condurre il proprio lavoro dalle basi. Credo che sopravvivranno più di altre label e riusciranno a passare indenni attraverso questo periodo turbolento del downloading musicale.
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra