26-07-07: L’appuntamento è di quelli da non mancare cascasse il mondo, perchè i Giardini Di Mirò vanno in scena ai Mercati Generali di Catania per una tappa del tour a supporto della loro ultima fatica “Dividing Opinions”. Ed Il Cibicida, come sua consuetudine, non toppa l’appuntamento incontrando a quattrocchi Jukka Reverberi, funambolico chitarrista – e da poco anche vocalist – della band emiliana. A pochi minuti dall’inizio dell’esibizione, Jukka si concede alle domande de Il Cibicida riguardo l’evoluzione sonora della band, il loro modo di lavorare in studio e qualche considerazione più di carattere personale, in una chiacchierata ricca di spunti che vi riportiamo integralmente.
Jukka: Per noi c’è stata tanti anni fa la cesura, è già avvenuta da tantissimo tempo. Abbiamo cominciato a suonare come gruppo strumentale perché non abbiamo trovato un cantante, però abbiamo trovato in giro altre band strumentali che suonavano, e questo ci ha permesso di uscire ed accodarci ad un filone. Quindi è stata una scelta anche di comodo. Poi abbiamo inserito la voce nelle canzoni, ed a noi è sembrato girare tutto molto meglio, ed è una scelta che è venuta per gusto nostro, per volontà ben precisa, non è stato solo per caso. E’ una cosa che avevamo provato già col primo album… certo è che non potevamo avere sempre ospiti diversi dal vivo, ci abbiamo provato per il tour di “Rise And Fall Of Academic Drifting”, con Matteo Agostinelli (Yuppie Flu, ndr) che veniva e cantava un paio di pezzi con noi… in realtà l’abbiamo sempre cercata questa formula. Adesso questa è secondo noi la forma più compiuta, poi che ci sia una cesura o no è difficile da dire. I sentimenti che abbiamo nei confronti della musica sono sempre gli stessi.
Domanda: L’elettronica è un aiuto, un ricamo… cosa rappresenta per voi?
Jukka: L’elettronica dal punto di vista degli ascolti che abbiamo fatto nel corso degli anni è molto importante. Per i Giardini Di Mirò di certo non è una priorità assoluta, perché comunque siamo un gruppo in cui basso e chitarre la fanno ancora da padroni, e difficilmente dal vivo con l’elettronica si riesce a raggiungere la stessa potenza…
Domanda: …non arriverete quindi ad avere chitarre campionate…
Jukka: Magari qualcuna può anche starci, ma è un ricamo più che altro… però posso dirti che, ad esempio, abbiamo già campionato tante cose, tante chitarre sono state prese e ritrattate direttamente in studio. Adesso come adesso in studio è fondamentale questo lavoro. Noi che non siamo musicisti precisissimi e superprofessionali in studio, abbiamo così modo di ampliare lo spettro della composizione dei pezzi, quindi risulta sicuramente fondamentale.
Domanda: I side project di Nuccini e Di Mira, le produzioni di Donadello, hanno in qualche modo influito in “Dividing Opinions”? In senso positivo o magari negativo…
Jukka: Guarda, mai negativo. Mai negativo perché tutte le volte che uno di noi fa una esperienza da solo, comunque torna indietro che ha imparato qualcosa in più e lo butta in mezzo al gruppo. Io credo che se qualcuno di noi ha un progetto esterno, e bene o male l’abbiamo tutti adesso, possa servire essenzialmente a migliorarsi, ad avere più materiale su cui lavorare. E’ una cosa positiva. Chiaramente a volte si arriva un po’ col fiato lungo, perché si finisce di lavorare a un disco e si inizia subito con un altro. Ma i Giardini Di Mirò sono un gruppo, non sono individualità, e quindi le esperienze personali sono arricchimento.
Domanda: Post-rock, shoegaze, noise, indie. Sono questi gli ingredienti fondamentali della vostra carriera… l’evoluzione è avvenuta in modo spontaneo?
Jukka: Secondo me è stato proprio normale. Il disco nuovo ci tiene al passo coi tempi ed al passo con la nostra capacità di stare in studio. Degli ultimi ascolti che abbiamo fatto, della musica nuova che sicuramente abbiamo ascoltato, in realtà pochissime cose ci hanno davvero influenzato; e allora più che altro è ritornata in certi momenti la lezione dei Sonic Youth o di gruppi del genere, ma comunque si parla sempre di ascolti pregressi, fatti nel tempo, utili per maturare. Sono dieci anni ormai che suoniamo insieme, e da soli anche di più, quindi vuoi o non vuoi gli ascolti fatti finiscono per influenzarci.
Domanda: La copertina di “Dividing Opinions” rappresenta gli scontri di Reggio Emilia del 1960. Come mai questa scelta “politica”, voi che non avete mai affrontato apertamente tali argomenti?
Jukka: L’immagine per me è molto bella per quello che sta dietro, ovvero una fotografia della vecchia Reggio Emilia, ovvero dei nostri concittadini che parte erano i nostri nonni, ed era gente che prendeva sempre di petto tutti i momenti importanti, momenti in cui la storia ti chiedeva di uscire a dire la tua. Abbiamo visto la fotografia all’Archivio Storico di Reggio Emilia, nella piazza principale dove sono avvenuti gli scontri, e c’è piaciuta subito. Io conosco il figlio di una delle persone morte in piazza durante quegli scontri, e quindi è venuto fuori un po’ il lato sentimentale verso la città, il nostro appartenere a quel territorio, e quindi è una dichiarazione d’amore verso la nostra terra e verso la nostra gente, che probabilmente non è più così; quindi è un po’ un voltarsi indietro e dire “a parte quell’episodio tragico, forse stavamo meglio prima, e potremmo stare meglio in futuro, potremmo ritornare ad essere qualcosa di diverso”. La politica nei Giardini Di Mirò è una cosa che c’entra molto, perché è centrale in noi come persone… come gruppo non riusciamo però a trovare una sintesi del nostro pensiero in musica…
Domanda: …infatti trattate più che altro tematiche amorose…
Jukka: Si, un po’ sciocchezzuole, cose molto più leggere… fondamentalmente siamo un gruppo pop, e riuscire a scrivere di politica in musica è una cosa che sono realmente riusciti a fare in pochissimi. Con tutto il rispetto, noi artisticamente non vogliamo fare come i Modena City Ramblers o altri gruppi del genere. Io sono estremamente di sinistra, radicalmente di sinistra, lo sono nella mia vita di tutti i giorni, nel mio modo di pensare, suono in una pop band, se qualcuno mi chiede come la penso lo dico… ma il gruppo è un gruppo pop e suona musica pop… magari mettiamo lì una fotografia che riprende un fatto storico e lasciamo libera interpretazione, mandiamo in qualche modo un segnale per far capire che comunque noi stiamo da quella parte lì.
Domanda: La tua “nuova” esperienza come vocalist ha segnato in qualche modo le fasi di lavorazione dell’album, il tuo modo di lavorare?
Jukka: Per i primi pezzi si. E’ strano sai, perché tanti pezzi sono nati e solo dopo abbiamo aggiunto la voce, io mi sono fatto aiutare da qualcuno per trovare le linee vocali… Corrado (Nuccini, ndr) ha fatto molto di più in questo senso, ha studiato molto di più… io l’ho fatto solo in piccola parte. Posso dirti che per me è proprio difficile, perché avrei voluto dedicarmi magari di più ad alcune parti di chitarra, che comunque è lo strumento che mi piace e che suono.
Domanda: “Broken By” è un brano davvero magnifico. Ve ne siete resi conto al momento di registrarlo?
Jukka: Ce ne siamo resi conto, perché nel momento in cui abbiamo dovuto decidere quale canzone utilizzare come primo singolo abbiamo optato immediatamente per quella. A tutte le persone a cui l’avevamo fatta sentire era piaciuta molto… il problema è che facciamo davvero fatica a farla dal vivo, ci fa “soffrire” perché non riusciamo bene a dare lo stesso impatto dello studio. Io ho registrato due linee vocali, ho suonato tantissime chitarre, mentre dal vivo ne faccio solo una ed è una linea proprio normale, molto semplice, il basso sul disco l’ho suonato io. Non sono ancora contento della resa live, ed è un pezzo che ci darà sempre parecchio da fare proprio per come è stato concepito.
Domanda: Tu e Corrado, come avvengono le scelte chitarristiche?
Jukka: Beh, siamo proprio io da una parte e lui dall’altra, a volte ci sono proprio “dividing opinions” fra noi (ridiamo, ndr). Devo essere sincero, anche se forse non è bellissimo dirlo, ma ci ascoltiamo veramente poco tra di noi. Quando scriviamo i pezzi lavoriamo abbastanza assieme io e Corrado, poi da li in poi le strade si separano e ognuno prende la sua pur rimanendo nello stesso gruppo… sarà un dualismo da prime donne o semplicemente da due che suonano lo stesso strumento… potrebbe essere quello.
Domanda: Ed allora c’è una domanda che dobbiamo farti necessariamente: ti è piaciuto il suo disco hip-hop (di Nuccini, ndr)?
Jukka: Non l’ho mai ascoltato molto bene, però penso sia un lavoro decisamente sopra la media, lo penso davvero. Poi il fatto che io non l’abbia ascoltato bene è perché non è quello il tipo di cose che mi piace ascoltare.
Domanda: “Dividing Opinions” è sicuramente il vostro album più “accessibile”. Ed in gran parte ciò è dovuto al minutaggio dei pezzi, drasticamente ridotto rispetto ai lavori passati. E’ stata una scelta studiata o semplicemente i brani sono venuti fuori così?
Jukka: Quello è assolutamente voluto. Abbiamo cercato una forma più rock, con meno dilatazioni, volevamo essere più aggressivi, più rapidi, anche come BPM, proprio come battiti per minuti volevamo fare un album più veloce e lasciare da parte qualche riflessione marcatamente post-rock, che come gusti e come ascolti abbiamo ancora però. Solo che dopo tre dischi fatti e tanti singoli era giusto misurarsi con qualcosa di diverso, proprio per non annoiarsi, perché lo facciamo sì per mestiere, ma ancora per fortuna anche per passione, e quindi s’è provato a fare qualcosa di un po’ diverso.
Domanda: Molto spesso si parla, anche a sproposito, di indie-rock, sviando il reale significato del termine. Secondo voi come è messo l’indipendente in Italia?
Jukka: Bisogna essere molto chiari: in Italia c’è questa grossa moda che viene da telefilm americani tipo “The O.C.” o quelle robe lì, l’indie-rock è identificato con questa roba qua, ed a me ha sinceramente rotto anche un po’ le palle. Mi ricordo che quando si parlava di indie-rock negli anni ’90 si parlava di rock indipendente, ovvero di band che facevano la scelta di rimanere indipendenti o meno. I Fugazi ad esempio, una band coerente che ha fatto una scelta precisa e metodologica nei confronti del mercato, loro hanno cominciato ad approcciarsi con una scelta prima di tutto politica. Oggi non è più così, ed ancora meno lo è in Italia. L’indie-rock è diventato principalmente un modo di concepire certo rock, che non è più rock con la R maiuscola ma è quella musica un po’ scialba, un po’ sciatta, un po’ sfigata, un po’ indolente. In Italia ciò che è chiamato rock indipendente non lo è per volontà ma per costrizione, perché non ci sono strutture, non c’è circuito e non c’è una cultura di questo tipo. Non ti dico, ad esempio, che noi Giardini Di Mirò se ci fosse una offerta importante non la accetteremmo… ma a parte quello, noi di offerte importanti non ne abbiamo mai avute, e quindi anche per quello si resta indipendenti. E in Italia quasi per nessuno ci sono di queste offerte.
Domanda: Ultima domanda di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Jukka: Purtroppo un insetticida… non so se può andare bene!
* Foto a cura di Emanuele Brunetto
A cura di Emanuele Brunetto e Riccardo Marra