Marzo 2007: Band di punta dell’intera scena alternative italiana, gli emiliani Julie’s Haircut sono giunti nel 2006 al loro quarto lavoro sulla lunga distanza (“After Dark, My Sweet”, secondo per la Homesleep Records). Il Cibicida ha incontrato Luca Giovanardi, voce e chitarra della band, per una chiacchierata virtuale incentrata sull’evoluzione stilistica dei Julie’s Haircut dagli esordi ad oggi e sul loro modo di lavorare, soffermandosi su qualche riflessione “extra”. Buona lettura.
Domanda: Quali sono stati i benefici maggiori di cui avete goduto passando dalla Gammapop alla Homesleep?
Luca: Sia con Gammapop che con Homesleep abbiamo sempre avuto la fortuna di lavorare con persone che stimiamo molto umanamente, con cui c’è un rapporto che va al di là di quello tra gruppo ed etichetta. Certamente i vantaggi di essere ora con Homesleep sono molti perché l’etichetta ha potuto progredire e svilupparsi da dove invece Gammapop si è fermata.
Luca: Di solito chi scrive il testo lo canta, ma non è una regola aurea. Esistono alcune eccezioni nella nostra discografia.
Domanda: L’evoluzione del vostro sound da un album all’altro è palpabile. Credete di aver trovato con “After Dark, My Sweet” la vostra dimensione definitiva o assisteremo ad altri significativi cambi di rotta?
Luca: Speriamo proprio che questa forma definitiva tardi ancora molto ad arrivare. Stabilità e sicurezza sono così noiose in musica. Per quanto mi riguarda, di definitivo c’è solo la morte.
Domanda: Da cosa è nata l’esigenza di diminuire le parti vocali in “After Dark, My Sweet” rispetto ai vostri precedenti lavori?
Luca: Dal semplice fatto che il disco nasce da improvvisazioni ed è più naturale improvvisare suonando che cantando, a meno che tu non ti chiami Damo Suzuki. Ma il testo di “Purple Jewel” ad esempio è improvvisato da Laura e registrato in presa diretta insieme alla band. Ora intendiamo la voce come uno strumento tra i tanti: si può utilizzare oppure no, a seconda del tipo di suono e di effetto che cerchiamo di ottenere.
Domanda: Avete sempre fatto delle scelte eccezionali per quanto riguarda i videoclip, vedi ad esempio quello di “Set The World On Fire”, ma con “Satan Eats Seitan” avete raggiunto l’apice. Ci mettete del vostro per idearli o vi affidate totalmente all’estro del regista?
Luca: Abbiamo da anni un rapporto particolare con Luca Lumaca. Conosciamo bene il suo mondo e lui il nostro, sappiamo quali sono gli ingredienti che usa, quindi ci limitiamo a farci proporre un’idea, si parla brevemente di pochi particolari, più che altro per essere sicuri che le dosi di ironia, critica sociale, esigenza estetica siano misurate con un’attenzione che soddisfi sia noi che lui, poi lui è giustamente libero di lavorare in totale libertà. Le cose migliori vengono fuori quando una sua personale ricerca estetica (come nel caso dei Lego di “Set the world on fire” e dei videogiochi di “Satan eats seitan”) viene incarnata in un nostro video, che di solito suggella quella determinata fase della sua ricerca artistica.
Domanda: Che ruolo gioca l’elettronica nei vostri brani e nelle relative esecuzioni dal vivo?
Luca: Gioca un ruolo funzionale all’effetto che vogliamo ottenere, come qualsiasi altro strumento.
Domanda: Credete che la crisi che attanaglia di questi tempo il mercato discografico si ripercuota sotto forma di una maggiore “pressione” sulle band? Diciamo che gli artisti ad oggi hanno meno “margine d’errore” che in passato…
Luca: Bah. Io mi limito a constatare che 30/40 anni fa la vita media di un gruppo (soprattutto di quelli che hanno fatto la storia) era di 3/5 anni e di altrettanti album. Oggi mi sembra che i gruppi abbiano una vita molto più dilatata e meno intensa, ci si mette molto più tempo per produrre un disco, passano anni tra un album e l’altro, mentre un tempo si pubblicavano anche 2 o 3 dischi in un solo anno. E dire che le tecniche di registrazione erano ben meno snelle. Oggi pochi hanno coraggio di osare, di farli, gli errori, perché servono. Poi non so… cosa intendi per “margine di errore”? Cos’è un errore? Fare un disco che vende poco? Ma ci sono dischi splendidi che vendono poco e dischi mediocri che vendono tantissimo. La fortuna di un disco è quasi assolutamente imperscrutabile, ci sono in gioco troppi fattori. Poi il tempo muta i giudizi. Se un gruppo definisce il proprio successo esclusivamente sulla base delle vendite secondo me manca di personalità, non sa quello che vuole, è schiavo dell’opinione altrui, come se la propria non contasse nulla. E, per chiarire, te lo dico in un momento in cui abbiamo fuori un disco che è forse il nostro più venduto. In generale credo che i musicisti dovrebbero tornare a prestare più attenzione alla musica che fanno che al prodotto-disco. La crisi di cui parli è una crisi della discografia, non della musica. Tornare alla centralità della musica forse può essere l’unico vero aiuto che un musicista può portare alla discografia.
Domanda: Siete da poco stati in tour in Olanda, Belgio, Germania. Qual è il riscontro, in termini di pubblico, fuori dai confini italiani?
Luca: Se consideriamo che era il nostro primo tour vero e proprio in quelle zone, direi che il riscontro è stato ottimo, nel senso che abbiamo ottenuto un’affluenza paragonabile a quella che abbiamo in alcune zone qui in Italia, dove però giriamo da anni. Ma direi che nel resto d’Europa, è un discorso vecchio, c’è maggiore curiosità e una cultura della musica dal vivo più profonda che da noi. Discorso a parte meriterebbe poi la questione della qualità tecnica dei club. Da questo punto di vista siamo decisamente indietro, almeno per quella che è stata la nostra esperienza, che è ancora molto limitata.
Domanda: Julie’s Haircut, Giardini Di Mirò e Yuppie Flu sono senza dubbio fra le realtà più interessanti del panorama alternative italiano, e non è probabilmente un caso che incidiate tutti per la Homesleep. Avete qualche altro nome da farci/consigliarci?
Luca: Non so. Ci sono tante cose che possono essere considerate ottime anche se magari non incontrano più il mio gusto personale, che dopo tanti anni ha preso derive magari meno popolari che in passato. Ormai sono vecchio per dare consigli, ho un’età in cui ogni buon rocker del passato sarebbe morto o ritirato, anche se nell’Italia gerontocratica sono ancora considerato un giovane artista. Cosa volete che ne sappia io della musica che piace ai ragazzi? So per certo che dal vivo i Gazebo Penguins e i Tunas spaccano, che su disco sono bravi i MiceCars. Per quanto ci riguarda, ultimamente ci è piaciuto moltissimo il nuovo disco di Egle Sommacal, ragazzo non propriamente di primo pelo. Ma è un chitarrista eccezionale, grande personalità. Tanto che dal vivo quando possiamo lo portiamo con noi per aprire i concerti.
Domanda: Siete uno dei pochi gruppi che permette di downloadare spezzoni di brani dal vostro website ufficiale. Qual è il rapporto che intercorre fra i Julie’s Haircut ed internet?
Luca: Abbiamo gestito il nostro sito fin dagli esordi e, ahimè, mi duole ricordare che questi esordi risalgono a un tempo in cui la rete era ancora agli albori. Non so, è un buon modo di restare in contatto con il nostro pubblico. Poi, se si è sicuri di aver realizzato un buon prodotto, perché si dovrebbe aver paura di farlo ascoltare prima dell’acquisto? Tanto è miope contrastare una tendenza che è già una realtà acquisita: i ragazzi i dischi se li scaricano illegalmente, per ogni copia che vendiamo probabilmente ne circolano 10, forse di più. Tanto vale che li sentano direttamente da noi e magari poi decidano di comprarseli visto che costano poco.
Domanda: Domanda di rito: se ti dico “Cibicida” cosa ti viene in mente?
Luca: Assassinio dell’alimentazione? Che roba è?
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto