Ottobre 2007: Nello scorso update Il Cibicida ha dedicato la “prima pagina” ad “Uno” dei Marlene Kuntz, perchè, il nuovissimo disco dei tre di Cuneo, è di quelli che più lo ascolti più ti convinci che è un piccolo gioiello. La parabola dei Kuntz in effetti è sempre stata fuori dal comune: grande musica, testi tra i migliori in circolazione, rock italiano che più italiano non si può e quella sensazione che si ha, mettendo su i loro album, di un febbrile piacere all’ascolto. Ed anche “Uno” non fa eccezione conservando certe caratteristiche – magari aggiornate a qualche anno in più di Godano, Bergia e Tesio – calate, in questa occasione, in un quadro letterario d’amore e di eroismo figli del punto di partenza del disco: la poesia russa di Vladimir Nabokov. A pochi giorni dall’uscita del disco, Il Cibicida ha voluto intervistare per via telematica Cristiano Godano (penna, voce e chitarra della band), per tastare assieme a lui il polso della nuova opera e, più in generale, dell’attuale momento dei Marlene.
Domanda: Cristiano, in “Uno” i Marlene cantano l’amore eroico, l’amore che fa grandi uomini e donne. Qualcuno dice che, la tua, è una vera rivoluzione testuale rispetto all’idiosincrasia della noia provinciale delle liriche d’inizio carriera, che ne pensi?
Cristiano: “Nuotando nell’aria”, “L’esangue Deborah”, “Come stavamo ieri”, “Ti giro intorno”, “Una canzone arresa”: sono i primi titoli che mi vengono in mente per sottolineare come già nei primi tre dischi affrontassi il tema dell’amore. Il sentimento della “noia provinciale” non riesco a considerarlo come il vero e unico tema ispiratore dei miei testi di inizio carriera: è semplicemente una caratteristica fra altre che fortunatamente nel corso del tempo ho imparato a gestire. Sarebbe grottesco se io a 40 anni dovessi ancora riversare nei miei testi problematiche appropriate a una persona intorno ai suoi 25.
Domanda: Rimanendo in tema, in che fase della scrittura ti trovi? Il passato ha mostrato un Godano molto complesso soprattutto nella ricerca del vocabolo, poi ci sono stati album come “Senza Peso” e “Bianco Sporco” in cui i testi si sono asciugati un bel po’. Oggi, invece, qual è la percezione che hai del tuo scrivere?
Cristiano: Si cresce, si scrive, si riscrive, si cancella, si analizza, si medita sul proprio operato e… si va da qualche parte, anno dopo anno. Anche qui: sarebbe grottesco se io rimanessi sempre avvinto a un unico modo di esprimermi. Qualsiasi artista serio e onesto lavora con una certa riflessività mischiata al trascinamento dell’ispirazione, e così facendo impara ad affinare la propria arte. Mediamente questa cosa si realizza rendendo più comunicativo il proprio mezzo espressivo, imparando a gestire il proprio impeto e, in qualche modo, “asciugando” il linguaggio, come dici tu. Ma mi viene in mente che ancora oggi i miei detrattori in rete continuano energicamente a sostenere il contrario: ho letto in alcuni ambiti che continuo a usare termini desueti in modo ridicolo, ottenendo risultati istericamente manieristi… E’ un mondo sfaccettato, non trovi?
Domanda: Credi si stia assistendo a un passaggio generazionale del pubblico dei Marlene?
Cristiano: Francamente non sono attrezzato a rispondere… So che sono abituato da sempre a vedere facce giovani nelle prime file dei nostri concerti. Laddove tour dopo tour noi si invecchia, lì sotto facce giovani ci sorridono e partecipano al rito del concerto. E’ un pubblico che si rinnova, e noi ne siamo orgogliosi. Anche perché io penso e parlo e scrivo da 40-enne. Evidentemente riesco a comunicare anche a chi ha vent’anni in meno di me.
Domanda: “Uno” è un disco molto suonato e sembra mostrare che, per i Marlene, non ci sia più bisogno di caricare di chitarre per gridare più forte. La tensione è data dalla narrazione e dalla corposità dei pezzi. Sei d’accordo?
Cristiano: Direi di sì… soprattutto sul fatto che le chitarre non debbano urlare. E’ un equivoco fragoroso questo del rock marlenico obbligato a stridere di distorsioni e furori: probabilmente ne siamo responsabili noi stessi. Da anni vado cercando di spiegare esplicitamente o fra le righe che ascoltiamo la musica in modo molto più variegato. Mi incuriosisce davvero come però vi sia tuttora chi si scandalizza perché le chitarre non ruggiscono più… Mi chiedo: ma è gente che ascolta solo furori e distorsioni? Se sì con noi ha sbagliato davvero gruppo. E comunque, ancora: certo, la tensione è altrove. Addomesticata per esigenze artistiche, ma latente in conformità con la nostra indole, quella che non ci permetterà mai di essere troppo spensierati con le nostre cose (e, se devo essere sincero, quanto mi piacerebbe invece poterlo essere, ogni volta che lo desiderassi).
Domanda: Avete costruito il disco anche in “funzione” degli spettacoli dal vivo? Mi spiego: un pezzo come “111” è di quelli che nel contesto live hanno potenzialità enormi con il suo climax devastante…
Cristiano: E’ più vero il contrario: l’unica cosa che sappiamo è che il live ci darà dei bei problemi, perché “Uno” è un disco difficile. Ma siamo prima di tutto persone curiose, e ciò ci costringe a non rimanere mai arroccati sulle nostre certezze. Ci mettiamo a rischio quasi sempre, e in fondo credo sia uno dei segreti del nostro successo.
Domanda: Di nuovo Gianni Maroccolo con voi. Chiederti se lui è il quarto Marlene, mi pare inutile (perchè lo è), piuttosto parlaci del suo tocco da produttore…
Cristiano Godano: Gianni ci abbandonerà fra molto poco, almeno per ora. Ha altri progetti da portare a termine e non può più seguirci in tour. Il suo operato con noi è stato preziosissimo e insostituibile: due anni di lavoro fruttuosi, creativi e quasi miracolosi. Maroccolo è una persona di cruciale importanza per tutta la nostra carriera, dagli inizi fino a oggi.
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra