E’ impossibile dire quanto volte i Marlene Kuntz abbiano cambiato pelle, proprio come serpenti. Qualcosa più della semplice maturazione come band, invece un vero e proprio reset, per cercare a ogni disco di dire sempre qualcosa di nuovo. Anche “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”, uscito l’anno scorso, è un colpo di coda in questo senso. Arrivò dopo il teatrale “Uno” e portò i Marlene a tirare fuori le unghie dopo un periodo di sana contemplazione. Quando si parla di Godano e compagni, poi, c’è sempre il capitolo fan da trattare, quel pubblico che non ha mai reso la vita facile alla band, non perdonandogli la loro ambizione di crescita e cambiamento. Quel pubblico d’oggi che in “Ricoveri” subisce la critica feroce dei Marlene. Nel mirino, appunto, chi si ricovera nei computer come forma di sexy solitudine. E da lì emette giudizi. A un anno dall’uscita del tanto discusso disco dei Marlene Kuntz, Cristiano Godano torna sul “luogo del delitto”.
Cristiano, “Ricoveri…” è un disco arrabbiato. Però, a differenza del recente passato, lo sdegno non è filtrato dal proverbiale “quaderno godaniano”. Perché?
Personalmente non sento “Ricoveri virtuali” come un disco arrabbiato. Ritengo vi sia stata una comunicazione errata da parte nostra e del nostro staff, che parlava di rabbia contro la rete e già a questo punto mi servono delle precisazioni. La prima: quanto vorrei che la dea Comunicazione smettesse di avere questo ruolo primario nel nostro mondo veloce e superficiale! La seconda: fu il nostro staff-ufficio stampa a proporre il leit-motiv della rabbia eccetera girando alla nostra attenzione il comunicato relativo; ma noi eravamo stanchi dal lavoro fatto fin lì, e giocoforza disattenti, e lasciammo passare parole che poi ho dovuto cercare di correggere a ogni intervista. La terza: non è una tirata al nostro ufficio stampa, composto da persone di una gradevolezza e gentilezza estreme, è una ammissione di disattenzione, la nostra. Se penso al clima di divertita serenità con cui affrontai le sessioni di registrazione della voce a Udine, insieme a Howie, non mi sovviene certo la rabbia come sentimento principe… E’ un disco schiettamente rock, pensato e suonato con una certa spontaneità, ottenuto con altrettanta spontaneità, e contenente due o tre canzoni acidule che denunciano con onestà il circostanziato mood negativo che avevo il giorno in cui ne scrissi i testi. Tutto qua. Il “quaderno godaniano” di cui parli, se bene intendo cosa mi chiedi, è, sperabilmente, sempre rinnovabile e migliorabile.
E la solitudine? Il “ricovero virtuale” ne è simbolo. Ti sei mai sentito solo? Magari nel rapporto con i fan dei Marlene?
Non mi sono mai sentito solo in modo negativo: la solitudine mi appartiene, ma è una solitudine creativa, positiva e non sfigata. Intendo dire che se voglio essere socievole, divertirmi e manifestare la mia estroversione, prendo la decisione e divento socievole, divertito, cazzone, estroverso senza problemi esistenziali di sorta a impedirmelo; se non lo voglio sto bene con me stesso e non temo uno o due giorni interi di assenza di relazioni sociali di sostanza. Il mio rapporto con i fan, quello reale, non mi ha mai creato alcun problema, e le persone che mi avvicinano ai concerti lo possono sperimentare sempre: fra noi c’è sempre e soltanto garbo e gentilezza. Oltre che rispetto reciproco. Nel mondo virtuale invece la faccenda si complica (il caso di Vasco Rossi e Nonciclopedia la dice lunga… Personalmente non sarei mai e poi mai arrivato a denunciare dei cretini, ma quei cretini in rete, ovunque, in ogni blog o social network, hanno spesso il potere di succhiare energie preziose e rovinarti la giornata. E non è una cosa piacevole).
Uno degli aspetti più interessanti del disco è il ritorno della vampa Kuntz. Un fuoco covato a lungo per poi esplodere…
Come ho detto prima non si tratta di rabbia, e se devo esser sincero una cosa che proprio non mi attrae come parametro di valutazione di un disco (parlo da ascoltatore) è… la rabbia. Non cerco dischi rabbiosi per godere di buona musica, e se poi capita che un disco che adoro sia un disco rabbioso, beh ben venga. La vampa di cui parli è semplicemente la causa e il risultato al tempo stesso di quella schiettezza rock di cui parlavo: se in “Uno” cercammo un certo tipo di raffinatezza, in “Ricoveri virtuali” cercavamo un sound molto vicino alla grana rock che il tour da poco concluso ci aveva regalato. E chissà cosa cercheremo per il prossimo disco…
Quattro video realizzati dai Masbedo per voi. Ci racconti la scelta di location e temi dei video?
L’Islanda fu scelta perché i Masbedo la conoscono molto bene e avevano idee molto chiare su cosa ottenere da e in quei territori. I video tentano di proporre una micro-narrazione che sia una possibile chiave interpretativa del disco, una fra le tante possibili. Ma sarebbe una domanda da fare a loro, perché loro hanno la risposta giusta…
Maroccolo e Howe B. Cosa l’uno, cosa l’altro hanno dato al disco?
Gianni molto poco, perché così era previsto. E’ il nostro manager, e dunque era in studio con noi perché la sua presenza è da noi gradita: in qualità di chioccia dispensatrice di consigli. Howie era il produttore artistico, e credo che la cosa principale che abbia saputo darci è la consapevolezza che siamo in grado di cercare e ottenere dal nostro sound la sensualità del groove, non tanto inteso come componente danzereccia (non saremo mai un gruppo per i dance floor, temo) quanto come l’anima pulsante, viva, vera che il tocco e le intenzioni possono dare alla musica. In questo senso non possiamo che crescere.
Citi De Andrè in “Paolo anima salva”. Lui è uno di quelli che… ci fosse ancora, il paese sarebbe migliore?
Non sono mai stato un suo fan, ma un semplice e serio ammiratore, in grado di riconoscere la peculiarità del suo stile e la poeticità delle sue parole, e credo che quando un uomo dalla spiccata sensibilità poetica viene a mancare, vengono a mancare i suoi ottimi esempi, sempre utili e formativi in qualsiasi consesso sociale (e infatti giustamente dici che lui è uno di quelli che se ci fosse ancora il paese sarebbe migliore). Alcune sue canzoni, comunque, sono magnifiche e fra le più belle della tradizione musicale italiana (per quanto spesso si senta da dove artisticamente provengano: penso, ad esempio, a Leonard Cohen, di cui fece due cover, e all’influenza clamorosa che esercita su alcuni suoi pezzi, quasi emanazione diretta… Ma a questo punto sento già il borbottio di alcuni lettori, intravedo il fantasma dei miei amati Sonic Youth sbandieratomi contro, e faccio ammenda immediata, con un sorriso distensivo e la mano tesa verso la stretta amichevole).
Cristiano Godano venti anni fa, nella piccola Cuneo. Cristiano Godano oggi. Cosa ti ha insegnato la musica? Cosa ti ha levato?
Intanto Cristiano Godano dopo otto dischi è ancora nella sua piccola Cuneo… E’ una domanda impegnativa la tua, nel senso che vorrei avere il tempo di meditare una risposta brillante, di quelle che regalino qualche bella intuizione. Adesso invece mi viene soltanto una risposta un po’ demistificatrice, e sicuramente non esaustiva di tutto ciò che realmente la musica mi ha dato in senso positivo (e mi ha dato tantissimo). La musica mi ha insegnato che intorno a essa (parlo della “nostra” musica di ascoltatori, il rock non commerciale, più o meno) si creano un sacco di miti un po’ sciocchi e aspettative errate, attese e seriosità fuori luogo, affezioni morbose, e le si appiccicano possibilità smodate. Un po’ di leggerezza farebbe bene a tanta gente, e permetterebbe di raggiungere parametri di giudizio molto più pertinenti di quelli presunti e di cui si vanta con banale vanità.
Quali sono gli ultimi tre dischi che hai comprato? E i libri?
Dischi: Tinariwen, “Tassili”; Gillian Welch, “The harrow and the harvest”; Thurston Moore, “Demolition thoughts”. Libri: Lila Azam Zanganeh, “Un incantevole sogno di felicità”; Jonathan Safran Foer, “Se niente importa”; Ann Tyler, “Una vita allo sbando”.
Dieci anni dai fatti di Genova del 2001. Che anni sono stati quelli appena trascorsi?
Anni in cui un uomo che ha illuso molta gente (e chissà se anche sé stesso) sulle possibilità di una svolta (positiva o no non ha importanza qui) ha fallito molto miseramente il suo mandato e ha infangato la sua figura in modo esemplare per i posteri e la storia: l’esatto opposto di ciò che il suo ego si era prefisso. Ma anche questa è una risposta semplicistica e poco meditata, sostanzialmente banale. Decine di altre cose si potrebbero dire senza focalizzarsi necessariamente su di lui.
Disturbiamo Kandisnkij. Di che colore sarà il suono dei prossimi Marlene Kuntz?
Spererei violetto. Violetto quasi tenue, non vinaccia.