Febbraio 2009: Giunse d’improvviso, nel 2002, lo scioglimento dei Massimo Volume. Emidio “Mimì” Clementi, Vittoria Burattini ed Egle Sommacal lo annunciarono con un comunicato scarno, come da loro tradizione, frenando, così, la storia di una delle band degli anni ’90 più innovative in Italia. Un combo diverso dagli altri, con un impasto personalissimo di chitarre e letteratura, parlato e (post) rock, voce emicranica di Clementi e musiche “fugaziane”. Dopo lo scioglimento, però, dischi come “Lungo i bordi” e “Da qui” sono “sbarcati” nel nuovo millennio grazie ad una nuova generazione di pubblico che non ha avuto la possibilità di vedere i Massimo Volume dal vivo, ma che ha reso gli “spoken” di Mimì, tra vita metropolitana, poesia beat, racconti dall’inferno, veri e propri cult. Tutto fino alla scorsa estate quando la loro reunion ha stupito tutti. Dopo sei anni di silenzio Mimì, Vittoria ed Egle di nuovo assieme per un tour e per lavorare ad un nuovo disco. Clementi ci ha raccontato i “vecchi” ed i “nuovi” Massimo Volume. Buona lettura.
Emidio: Devo dire che non è stato un vero shock, la cosa è stata più morbida di quanto possa sembrare: ho chiamato Egle e Vittoria per parlare della proposta che il Museo del Cinema di Torino assieme al Traffic ci aveva fatto, ovvero di sonorizzare “La caduta della casa Usher”, un film del 1929 di Jean Epstein. Si trattava di un’unica data, così non riflettevamo davvero sul rimetterci assieme. Poi però abbiamo fatto una seconda tappa a Urbino a luglio e lì ci siamo un attimo guardati negli occhi e abbiamo detto “dai, è un peccato non provare a fare un altro disco”. Così, eccoci qui dopo un esaltante inverno di concerti.
Domanda: Esiste un’opinione diffusa sui Massimo Volume. Chi non li ha potuti “vivere” nel periodo d’oro degli anni ‘90, probabilmente li ha amati ancora di più, creandovi attorno quasi una specie di mitologia…
Emidio: Sì è vero, c’è stata una generazione che è cresciuta con i nostri dischi, ma che non ci ha mai potuto vedere dal vivo. Credo, però, che al momento abbiamo la migliore line-up di sempre grazie all’ingresso di Stefano Pilia alla chitarra, quindi confido sul fatto che anche quello di Catania sarà un bel concerto. E ti dirò, forse è meglio vederci adesso piuttosto che cinque/sei anni fa.
Domanda: Com’è stato riprendere in mano il basso dopo tanto tempo?
Emidio: Bello, davvero. Bello anche ritrovare quel suono, il nostro suono, che avevamo messo in soffitta e che, poi, sin dalle prime prove, è venuto fuori con una totale scioltezza. Abbiamo messo all’in piedi la scaletta ritrovando qualcosa che ci apparteneva e che non c’era più. E’ stata una sensazione molto piacevole perché io ho continuato ad andare in scena con i miei romanzi e con gli altri progetti, però i Massimo Volume sono qualcosa di diverso. Mi mancava sicuramente la potenza di un nostro concerto.
Domanda: Dacci delle scadenze. Il disco nuovo a quando?
Emidio: Le nostre speranze sono quelle di farlo uscire per la prossima stagione, però c’è anche da dire che siamo sempre stati lenti nella costruzione di un disco. L’aspettativa è di avere i pezzi pronti per quest’estate. Abbiamo già provato delle cose che, secondo me, possono già essere degli abbozzi di brani, però ancora non ci sono delle ossature vere e proprie con un inizio e una fine.
Domanda: Molte band della vostra generazione hanno dovuto sforzarsi in un passaggio mentale per arrivare dagli anni ‘90 ai Duemila. Voi vi sentivate una realtà con cucita addosso quella decade? Siete pronti a proporvi nel nuovo millennio?
Emidio: Forse oggi a posteriori e vedendo in prospettiva, eravamo, sì, una band “degli anni ‘90”. Mentre li vivevamo, invece, non ne avevamo molta cognizione, non pensavamo nemmeno di fare parte di una scena come forse neanche le altre band che ne facevano parte. Però è una scena che effettivamente c’è stata in Italia e di cui forse si sente anche un po’ la mancanza. I gruppi di quel contesto (Afterhours, Marlene Kuntz, La Crus, ndr) sono stati coraggiosi, ognuno aveva una linea poetica propria ed esplorava delle strade diverse. Quindi, sì, oggi sentiamo di essere stati un gruppo degli anni ’90, ma ora vogliamo esserlo anche del Duemila. Non siamo stati ibernati, quindi porteremo in scena la nostra idea di mondo attuale.
Domanda: A tal proposito, in “Da qui” (’97) c’è un pezzo che si chiama “Qualcosa sulla vita” in cui descrivi il tuo periodo da impiegato in una ditta di sgombero cantine. Una canzone con quel titolo, oggi, che vita di Mimì racconterebbe?
Emidio: Certo una vita diversa da quella di dieci anni fa dove ero più legato a dei lavori precari e ad una esistenza sulla strada. Adesso ho una bimba che ha quasi due anni, la mia vita è cambiata, ma non è mutata la voglia di raccontarla. Certo poi dal vivo eseguiamo pezzi del primissimo disco che la gente ha piacere di ascoltare vedi “Ororo”; “Ronald, Tomas e io”; “Alessandro”… ma mi piace anche farli, mi piace tornare a quei brani che in qualche modo non m’appartengono più, ma che come un album di fotografie parlano di me, di noi.
Domanda: Parlando dei tanti personaggi che popolano i tuoi testi, li hai mai più rincrociati nella tua vita? Alessandro, Tomas, Ronald, Leo, Anna…
Emidio: Alcuni di loro sì. Quella con Leo, ad esempio, è un’amicizia che è continuata ad andare avanti nel tempo, pensa che ha vissuto qui a casa mia per un anno, fino a qualche mese fa. Anche con Rigoni continuo ad avere dei contatti, altri li ho persi un po’ per strada, vedi Ronald. Alessandro non l’ho più visto, so che ha ascoltato la canzone che gli avevo dedicato e che gli è piaciuta.
Domanda: Conservi ancora il calendario dove alla data del 26 dicembre dell’86, giuravi di non tornare più a casa? C’è stata una pacificazione con te stesso?
Emidio: Sì sono contento che ci sia stata, poi certo c’è sempre qualche irrisolto, credo che la felicità non appartenga a questo mondo se non per brevi tratti. Comunque una pacificazione c’è stata e sono contento di questo.
Domanda: Nel tuo libro “L’ultimo Dio”, scrivevi che, i primi tempi, telefonavi nel cuore della notte a Vittoria per leggerle i testi che scrivevi. Oggi chi è il tuo punto di riferimento?
Emidio: Uno è sicuramente Andrea Bergamini, l’editore della “Playground” di Roma che è un mio amico di vecchia data, lui è un mio punto di riferimento letterario. Poi sui testi magari tornerò a chiamare Vittoria per sapere la sua opinione. Certo è da vedere se lei vorrà rispondermi durante la notte…
Domanda: Con il progetto El Muniria hai cambiato il tuo modo di scrivere canzoni: un po’ meno “beat” e più oniriche. Sarà questa la linea di testi dei “nuovi” Massimo Volume?
Emidio: Non lo so ancora in realtà. Però nel caso di El Muniria, il tipo di scrittura, era legato all’esigenza di sposare i testi con l’atmosfera di quel viaggio a Tangeri che avevamo concepito come luogo mentale del disco. Quindi sono liriche che risentono del clima e che cercano di adattarsi al tessuto elettronico dell’album. Comunque El Muniria non è un progetto morto, io e Massimo Carozzi siamo pronti a rispolverarlo quando ci sembrerà opportuno.
Domanda: Ma insomma con i Massimo Volume ora vi state buoni per un po’…
Emidio: (Ride, ndr) Massì, intanto pensiamo al nuovo disco, poi si vede. Non abbiamo fatto pensieri intorno a quanto resteremo insieme anche perché sarebbe un po’ assurdo. Siamo concentrati sul da farsi, vedremo più in avanti quello che succede.
Domanda: In primavera farai qualche altra tappa con il reading “Bombay Tapes” assieme a Manuel Agnelli. Che ne pensi della sua presenza a Sanremo con gli Afterhours?
Emidio: Io lo capisco Manuel, s’è levato tutti gli sfizi del mondo della musica alternativa e dunque aveva voglia di una scommessa diversa. Certo è un’edizione un po’ così… sarebbe stato meglio far parte di una rosa di artisti nella quale fosse presente qualcun altro più o meno della nostra scena. Però sono curioso di vederlo ed ascoltare la canzone che ha scritto.
Domanda: A febbraio uscirà anche il tuo ritorno bibliografico…
Emidio: Sì, si chiama “Matilde ed i suoi tre padri” esce il 4 di febbraio per la Rizzoli. E’ un libro un po’ diverso perché abbandono l’io narrante e mi confronto con dei personaggi femminili. E’ stata una bella battaglia, ci ho messo tre anni, spero però possa essere una scommessa vinta.
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra