Ottobre 2010: In Italia c’è tutto un mondo musicale underground che lotta con le unghie e con i denti per venire fuori, un mondo ricco di fermenti e di gruppi che sanno il fatto loro e aspettano solo il momento giusto per fare il botto. Fra questi i My Awesome Mixtape, band di base a Bologna che, nata un po’ per gioco e tanto per passione, ha all’attivo tutta una serie di pubblicazioni che hanno convinto pubblico e addetti ai lavori, col loro mix di elettronica, campionamenti, hip hop e indole pop. In occasione della tappa catanese del loro tour, Il Cibicida ha scambiato qualche battuta con Maolo, riccioluto fondatore dei My Awesome Mixtape.
Domanda: Agli esordi siete stati un vero e proprio “fenomeno MySpace”. Alcuni vi hanno criticato, citandovi come esempio dei limiti della rete. Che ne pensate?
Maolo: Allora, è indubbio che con la nascita di questi nuovi social network, MySpace in primis (visto che con la massificazione di Facebook la componente musicale molto forte in MySpace è venuta meno), per gli “artisti” è stato molto più semplice riuscire a farsi conoscere e a mostrarsi a un pubblico più vasto di quanto non fosse possibile qualche anno fa. Ciò nonostante, credo comunque che My Awesome Mixtape non sia una vana meteora che vaga nell’etere telematico ma, come comprovato dalle tante date fatte in questi anni, la componente non virtuale è decisamente importante per la band.
Domanda: Proprio sul vostro MySpace vi definite semplicemente “pop”. Cosa c’è dietro un termine del genere? Non vi pare un po’ riduttivo?
Maolo: Al contrario, “pop” è certamente un termine onnicomprensivo ed è proprio per questo che abbiamo deciso di definirci così, per non essere prolissi scrivendo un’accozzaglia di generi messi in fila. Però, se preferisci, puoi definirci “musica concreta che parla di città in un contesto urbano quindi hip hop avanguardistico con influenze electropostwave ed electropostpunk, l’importante è che sia post”… eheh. Inoltre, utilizzare il termine “pop” nel nostro Paese è un modo chiaro e deciso per rifiutare di essere etichettati come appartenenti ad un universo musicale di nicchia, come succede molto spesso nell’ambito musicale italiano.
Domanda: Come lavorano i My Awesome Mixtape? Chi fa cosa e perché?
Maolo: In termini di composizione dei pezzi, molto spesso si parte da uno scheletro composto da un elemento singolo e poi tutti insieme lo si sviluppa. Nel futuro vorremmo tentare di impiantare nel nostro metodo compositivo il concetto di ritrovarsi in sala prove e comporre pezzi da zero tutti insieme.
Domanda: Curate tantissimo anche l’aspetto “visual” del vostro lavoro, artwork e merchandising in modo particolare. Fate tutto da soli anche in quel senso o c’è qualcuno che vi aiuta?
Maolo: Ci piace molto essere parte attiva nell’ideazione del merchandising che vendiamo ai banchetti, è per questo che spesso abbiamo coinvolto amici. Come ad esempio per la realizzazione di tutte le nostre copertine, dalla prima di “My Lonely and Sad Waterloo” fatta da Lucia Grillini, passando per il secondo album “How could a Village turn into a Town” realizzato da Luca Gentile e infine il nuovo singolo “Day After Day” per il cui artwork dobbiamo ringraziare Martina Merlini. Poi ci sono stati anche diversi contest da noi promossi, a dimostrazione del nostro interesse per quanto esula dal campo musicale. Per esempio la realizzazione di 13 magliette in edizione limitata per le quali abbiamo contattato grafici e artisti da tutto il mondo o il contest fumettistico per l’uscita di “Day After Day”, che ha visto vincere la tavola di Fabio Bonetti che stiamo distribuendo insieme al singolo.
Domanda: Ogni band prende inevitabilmente spunto da chi è venuto prima. Voi, nello specifico, da chi?
Maolo: Che dire, se incomincio l’elenco non finisco più, anche perché le influenze tra i componenti del gruppo sono davvero diversissime, quindi mi limiterò ai nostri generi musicali d’elezione; sicuramente la black music è molto importante, dunque hip hop, soul, r’n’b. Ma quando ascolti un nostro live l’attitudine punk è lampante. Paradossalmente, l’influenza indie non è che si faccia sentire più di tanto.
Domanda: Il titolo del vostro ultimo album, “How could a Village turn into a Town”, è un concept. Si riferisce a una città in particolare o al nostro Paese in generale?
Maolo: Non c’è nessun riferimento palese a nessuna città in particolare, chiaramente però il riferimento implicito è Bologna, città nella quale sono cresciuto e che per forza di cose mi ha influenzato. In particolare, ogni canzone dell’album è associata a un luogo specifico della città. Il titolo in sé, più che da leggere in senso letterale, è da intendere come una metafora della crescita personale.
Domanda: Suonate molto in giro per l’Europa. Che differenze notate con l’Italia a livello di pubblico, locali e attenzione nei confronti delle band?
Maolo: Sicuramente, a livello organizzativo, nei locali in Europa certe mancanze tutte italiane non si incontrano. Poi, chiaramente, non è tutto oro quello che luccica, rispetto alle prime volte all’estero mi sembra che l’attenzione da parte del pubblico sia scemata anche all’estero; se prima avevo l’impressione che andando all’estero avrei suonato sempre di fronte a un pubblico entusiasta e partecipe, con le ultime uscite mi sono un attimo ricreduto, ma molto probabilmente la mia prima impressione era un po’ prematura e forse sostenuta dall’entusiasmo di varcare i confini del suolo italico. Certo è vero che in Europa abbiamo fatto concerti bellissimi anche di fronte a poche persone mentre in Italia ci è capitato di suonare di fronte a parecchia gente in un’atmosfera un po’ freddina.
Domanda: Cosa vuol dire fare i musicisti, oggi, in Italia?
Maolo: Al livello al quale suoniamo noi sono sicuramente le soddisfazioni personali a contare di più, perché se si dovesse considerare l’impegno profuso in rapporto al riscontro monetario la situazione è parecchio grigia. Non sembrano esserci prospettive di cambiamento, quindi lo si fa piuttosto perché si ha la passione.
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto