03-08-06: Con l’uscita di “Novo Mesto”, Niccolò Fabi è giunto al quinto disco della sua carriera. Un momento importante per l’artista, che si trova a tirare qualche somma ed a fare un primo bilancio della sua avventura musicale dal ‘97 ad oggi. La redazione de Il Cibicida l’ha incontrato per una chiacchierata telefonica sul suo percorso artistico e personale. Roma, la sua indole di cantautore “educato” e la recente partecipazione al tributo a Francesco Virlinzi.
Domanda: Lo scorso luglio sei stato protagonista del concerto-tributo a Francesco Virlinzi. Che ricordo hai di lui e del suo ruolo nel panorama musicale italiano?
Niccolò: Purtroppo non posso vantarmi di essere stato un suo amico stretto. Ricordo che lo incontrai nel 1996 al “Locale” di Roma che accompagnava Carmen (Consoli, ndr), quello era un periodo fantastico: tutti eravamo all’inizio e con poca esperienza. E tutti avevamo la fame che si ha agli esordi. Guardando Francesco era evidente il suo entusiasmo e la sua passione travolgente, e colpì tutti per questo, soprattutto perché non si trattava di un musicista, ma di un impresario.
Domanda: Pensi che esistano ancora oggi figure di “producer” come lui? Ovvero di quei produttori che “vivevano” lo studio di registrazione ed i diversi passaggi emotivi di un disco.
Niccolò: Si, hai proprio ragione, di quegli uomini là ce n’è sempre meno in giro. Ho avuto la fortuna di vedere all’opera mio padre, produttore della P.F.M., e di poter toccare con mano una diversa stagione musicale. Oggi, a capo di tutto, ci sono dei manager che fanno più che altro lavoro imprenditoriale. I talent scout di una volta, ahimè, non ci sono più.
Domanda: Con l’uscita di “Novo Mesto” sei arrivato al tuo quinto disco in studio. Ma in che fase musicale si trova Niccolò Fabi? Credi che l’artista si accorga consapevolmente dei passaggi sonori che vive lungo la sua carriera?
Niccolò: Ci sono alcuni artisti più fisici, irruenti, passionali, che vivono la loro carriera in maniera del tutto istintiva ed inconscia. A me manca un po’ questa focosità, perché ho un carattere più riflessivo e, quindi, riesco ad avere una percezione più equilibrata del mio mestiere ed in generale di quello che faccio. Io penso che alla fine ognuno raccoglie frutti, che sono figli di cattive semine. Ed infatti, dopo un inizio illuminato dalle forti luci medianiche, sono riuscito a conquistare una meravigliosa ed intima penombra.
Domanda: Parlaci un po’ dell’idea di registrare il disco in “presa diretta”.
Niccolò: Si, l’idea era quella di non cadere in eccessive iper-produzioni e stratificazioni. Volevo coinvolgere in un viaggio le persone, i musicisti e gli amici con cui lavoro da anni. Così le sessions in Slovenia si sono sviluppate nella massima libertà individuale. Certo, ci sono i problemi ed i rischi dell’immediatezza, non abbiamo infatti ritoccato quelle registrazioni ma, nello stesso tempo, credo che risalti la spontaneità delle cose fatte con più passione e meno cervello.
Domanda: Credi di essere riuscito a far entrare dentro le tracce dell’album qualche sapore/odore del luogo in Slovenia dove hai registrato il disco?
Niccolò: Non era mio intento travasare la Slovenia nel disco, ma piuttosto lo spirito dei musicisti che hanno vissuto quel luogo. Perché suonare all’estero, in un posto che ti è sconosciuto, ti mette addosso una disinibizione simile a quella di quattro amici che vanno in vacanza. Ce li hai presente i turisti italiani all’estero? Ecco, la stessa temerarietà e lo stesso spirito goliardico. Tanto è vero che abbiamo voluto suonarli noi i mandolini ed i violini, senza farci aiutare dai musicisti del luogo.
Domanda: Qualcuno ha sempre teorizzato di una scena romana che includerebbe te, Gazzè, Silvestri. Lasciando stare da parte il fatto che i filoni musicali sono, quasi sempre, invenzioni acrobatiche della carta stampata, credi comunque che la tua romanità si rovesci nella tua musica?
Niccolò: Io credo che qualche anno fa, un gruppo di persone cresciute nella musica e nutritesi dello stesso “pane” siano davvero riuscite ad alimentare un’onda importante. Dunque non credo che la nostra romanità sia stata un elemento attivo, ma certo noi di una certa Roma più intellettuale e, diciamo così, borghese ne rappresentiamo un po’ l’espressione. Oggi dopo una prima stagione collettiva, ognuno dei nomi che hai citato si è riuscito a costruire una propria ed individuale dignità artistica.
Domanda: Qual è l’aggettivo che preferiresti per descrivere la tua musica?
Niccolò: Beh, domanda difficile questa. In questo momento mi vengono solo aggettivi negativi… scherzo! Pensandoci bene forse direi educata, sia in senso positivo che in quello negativo: da un lato è pura, sincera, dall’altro forse poco arrabbiata.
Domanda: Escludi a priori che un giorno potrai scrivere un disco veramente “arrabbiato”?
Niccolò: Sai, io credo che ogni uomo nasconda dentro di se i caratteri più differenti: dalla timidezza alla furia. Ma non è detto che ogni passione possa essere tramutata in musica, dipende dalle corde che ogni musicista possiede. Non è escluso, quindi, che potrei partecipare, senza voce, a progetti musicali di diversa intensità e temperamento.
Domanda: Ti abbiamo visto protagonista di un tributo a Nick Drake a Roma. E allora non possiamo non chiederti se senti il peso della responsabilità di essere un cantautore. Ogni cosa che scrivi ci mette poco ad essere assorbita dal pubblico come una sorta di guida.
Niccolò: Si, lo sento eccome. Ma chiunque abbia l’onore-onere di aprire bocca in pubblico, credo debba rendersi conto che ogni sua parola vanti di un immenso valore civico.
Domanda: Molti ti hanno chiesto della tua tesi di laurea di codigologia. Quanto “codice” c’è nei tuoi testi e quanto invece di assolutamente spontaneo e cristallino?
Niccolò: Ognuno è figlio della vita che ha trascorso. La mia è stata fortunatamente una vita ricca di informazione e di continui input culturali, e ciò può essere un limite, certo, perché si rischia di proporre una scrittura che manchi in spontaneità. Ma ripeto, ognuno deve essere quello che è, in base alla propria sensibilità ed al proprio osservatorio.
Domanda: Il disco della tua vita e il disco della tua settimana.
Niccolò: Proprio poco fa ascoltavo il cd di Fiorello a Radio 2 (ride)… Devo dire che nelle ultime settimane ho riscoperto la musica di Bob Marley, ho sempre avuto una grande lacuna sul reggae in generale. Ma di recente sto davvero apprezzando la forza e il carattere di un diavolo come Marley. Per quanto riguarda il disco della mia vita, potrei dirti “Dark Side Of The Moon”, che mi sconvolse dal punto di vista delle arrangiature, ma preferisco dirti la colonna sonora di Jesus Christ Superstar, il disco che meglio rappresenta la mia crescita.
Domanda: Niccolò Fabi riascolta la sua musica?
Niccolò: No, assolutamente, non ho questo tipo di vanità, ma è un tratto che mi porto dietro sin da quando avevo quindici anni e strimpellavo le mie prime canzoni.
Domanda: Prima testo e poi musica o viceversa? Come avviene la composizione di un tuo brano?
Niccolò: Una canzone è come una cellula: ha qualcosa di melodico e qualcosa di testuale. Le mie canzoni nascono, dunque, con lo sviluppo contemporaneo di questi due elementi. E poi ci sono quelle sensazioni assolutamente non razionali che ti fanno dire: “si, questo pezzo va bene”. Sono sempre molto scettico su una lirica letta senza la sua musica, perché la sua intensità ed il suo carisma sono sempre legati dai giochi della voce, dai sussurri e dalle diverse modulazioni vocali.
Domanda: Ultima domanda, di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Niccolò: Un guerriero dell’esercito ateniese.
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra