La scorsa estate “The Narcotic Story” ha rappresentato il ritorno discografico degli Oxbow e ne ha celebrato i quasi vent’anni di carriera. Una band molto strana quella di San Francisco: allergica alla notorietà, un po’ hardcore, un po’ blues psicotico, un po’ dark muscolare. I quattro, Robinson, Wenner, Davis ed Adams, hanno sfornato un disco eccellente, una “storia narcotica” in cui Eugene S. Robinson, il gigante nero leader della band, parla di se stesso, ma tramite l’alter-ego “Frank”. Il Cibicida è andato a disturbare Robinson nella sua abituale solitudine e segregazione nei sobborghi di San Francisco, lui che è uomo silenzioso e riflessivo, ma che nei live spiazza tutti con un’esibizione (striptease, sputi e presenza fisica) davvero paurosa.
Eugene, parlaci del vostro ultimo album “The Narcotic Story”…
Il disco è la spiegazione. Le parole, la musica, le immagini. Racconto di un uomo chiamato Frank e la storia, in breve, parla di quello che accade quando non resta altro da fare…
Ci sarà anche un gemello cinematografico del disco, a quanto pare…
Sì è vero, le location sono state gia trovate, gli attori sono stati scelti, la sceneggiatura è fatta, manca solo una buona produzione (e distribuzione). Insieme a quello c’è anche un documentario che si chiama “Music For Adults”, realizzato da Christian Anthony, un nostro amico di Los Angeles, che parla di noi e del nostro tour dello scorso Maggio. Una telecamera che ci ha seguiti in viaggio, in aereo e fin sul palco.
Dal vostro esordio nell’88 ad oggi con “The Narcotic Story” sono venti gli anni di attività. Vent’anni di incredibile energia e potenza hardcore. Ma quanto e come sono cambiati gli Oxbow nel tempo?
Nel modo in cui cambiano le persone. Più precisamente, siamo diventati più vecchi. Anche la storia è andata avanti: dalle preoccupazioni e dagli interessi di uomini impantanati nella più completa insicurezza della giovinezza, all’evoluzione di una filosofia personale che coglie correttamente ciò che è stato appreso e come ciò ha fatto la differenza.
I vostri live sono l’elemento che più vi caratterizza. Tu ti spogli dei tuoi vestiti mentre la band, invece, veste lo show d’elettricità. È il contrasto emotivo il vostro obiettivo?
Il nostro obiettivo è suonare bene una musica davvero difficile. E inoltre catturare l’elemento emotivo che descrive direttamente ed esattamente dove eravamo quando eravamo lì.
Eugene, sei gigante dalla faccia cattiva ma dal cuore tenero?
Entrambe le cose, come tutti i grandi uomini.
Che ruolo recitano i testi nella musica degli Oxbow?
Sono la storia narcotica da seguire. È la parte degli Oxbow da vivere con lo stomaco e con il cervello.
Qualcuno ha definito la vostra musica come “blues psicotico”, che ne dici?
Come dice Dalì, “l’unica differenza tra me e un pazzo è che io non sono pazzo”.
San Francisco: la vostra musica in qualche modo è il riflesso dell’anima scura e piovosa di quel luogo?
Non so dirti. Io vengo da New York City e quindi mi sento più legato a quella città. Oltretutto vivo nella periferia di San Francisco, è Niko (Wenner, chitarrista della band, ndr) che sta in città ed a lui piace molto. In generale non sono così connesso con i luoghi, le città, gli spazi e così via. Faccio l’eremita ovunque mi trovi. Ma sto bene così.
Dopo i concerti dello scorso anno, tornerete in Italia per un nuovo tour?
Certo, noi amiamo l’Italia e aspettiamo di vederla ancora in primavera.
Ultima domanda di rito: se ti dico “Cibicida” cosa ti viene in mente?
Un insetto.