Agosto 2010: Nella scelta del nome The Niro, Davide Combusti, cantautore romano classe ’78, ha racchiuso il suo particolare modo di essere: italiano, italianissimo, nella visione del mondo, anglosassone al 100% nella trasposizione di questo in parole e note. The Niro dunque è un musicista sui generis, tutta la sua carriera è anomala: gira il mondo con in tasca ancora pochissime canzoni, firma per una major senza passare dall’indipendente, diviene autore di culto con soli due dischi all’attivo. Fortuna? Genio? Mosca bianca tra i nuovi cantautori italiani? Il suo nuovo lavoro si intitola “Best Wishes” e, in occasione della sua partecipazione al 10° Tributo a Francesco Virlinzi, storico produttore catanese scomparso 10 anni fa, The Niro lo ha raccontato a Il Cibicida.
Domanda: Davide, hai partecipato al 10° Tributo a Virlinzi. Come hai conosciuto il personaggio?
The Niro: Beh, personalmente no. Però ne ho avuto testimonianza da moltissime persone, anche fuori da Catania, che mi hanno raccontato come lui sia stato un elemento fondamentale per la musica italiana. Ad esempio Maurizio Mariani, il bassista che suona con me, che aveva un progetto sotto l’attenzione di Francesco. Così quando Nica Virlinzi mi ha chiamato, sono stato particolarmente onorato di partecipare al suo ricordo.
Domanda: Checco è stato un produttore molto importante per i suoi musicisti. Chi è stato il tuo Virlinzi?
The Niro: Ne ho avuti due, il primo è Gianluca Vaccaro, che tra l’altro ha qualcosa in comune con Virlinzi perché è l’attuale produttore artistico di Carmen Consoli, artista lanciata da Checco. Poi c’è Roberto Procaccini. Con entrambi ho un rapporto straordinario, di amicizia prima che di lavoro. Credo siano stati “pazzi” a lavorare a un disco senza sapere dove ci avrebbe portato, tra l’altro seguendo linee non commerciali. Alla fine questa follia è diventata favola, è arrivata un’etichetta importante che ci ha lasciato liberi di lavorare al meglio.
Domanda: Prima di arrivare al tuo primo disco “The Niro”, hai girato il mondo: Tucson, New York, Londra. Com’è stato possibile?
The Niro: E’ strano, è vero. Io tra l’altro vengo da una famiglia non certo ricca: mio padre è stato un operaio, mia madre è una casalinga pittrice e quindi, diciamo così, ho dovuto foraggiarmi da me. Sai, non è facile parlare di quelle esperienze perché quasi tutte sono arrivate un po’ per caso, ad esempio il viaggio a Tucson. Avevo caricato da poche settimane i miei pezzi su MySpace, un mezzo di cui tra l’altro non avevo capito bene le potenzialità, che mi ha chiamato questa ragazza americana per invitarmi a un festival di interscambio Francia-Tucson. Mi disse: “anche se non sei francese ci piaci, vieni a suonare qui”, e io partii. Poi tutto a catena, mi hanno iniziato a chiamare dappertutto, forse i miei brani avevano qualcosa che colpiva, non lo so proprio. Ora dopo aver realizzato due dischi, mi incuriosirebbe andarli a suonare in Giappone o Australia. Il pubblico straniero è molto stimolante.
Domanda: Parliamo del nuovo disco “Best Wishes”. Undici tracce di grande emotività, perché manca la politica nei testi dei nuovi cantautori?
The Niro: E’ vero, trattare di politica per un cantautore è sempre un rischio, io ne avrei cose da dire ma rientrerebbero nell’opinione personale. Diciamo che non mi piace fare proselitismo, non mi attira essere un capomassa. Anche se poi, magari, servirebbero pure delle voci pulite, delle coscienze libere. Però ho sempre visto la politica come un qualcosa di delicato, oggi se mi mettessi a scrivere di politica, sarei molto critico, soffro molto per la situazione attuale, vedi la legge bavaglio… Però non riesco a inserire la politica nella mia musica, non è nella mia indole.
Domanda: “Best Wishes” così è un album molto intimo…
The Niro: Quando lavoro a un disco voglio che sia il più compatto possibile. Per questo album il tema principale è la solitudine, ma devo dire che ci sono arrivato quasi inconsciamente. Non mi piace programmare, mi piace scrivere canzoni in maniera istintiva. Inizialmente avevo per le mani 18 brani per un film musicale, un vero e proprio concept, poi però ho deciso di sceglierne 11 da mescolare in un disco. Forse un concept di 18 pezzi sarebbe stato troppo spregiudicato.
Domanda: Hai inciso per Universal sin dal primo album, ti senti un privilegiato?
The Niro: Sono stato fortunato, sì. La mia musica è arrivata all’Universal che mi ha subito corteggiato. Devo dire però che ho fatto tanti anni di gavetta anche io, suono dall’età di 14 anni la batteria, quindi ho almeno 15 anni di live alle spalle. Poi dal 2002 al 2005 le indipendenti mi hanno contattato, ma volevano che io cantassi in italiano. Forse è stato questo il motivo per cui ho lasciato perdere le loro offerte. Inizialmente ero contrarissimo alle major, però ho pensato: se anche una major mi fa esprimere come voglio, allora vado con loro. Non so se è stata la scelta giusta, i conti si fanno alla fine, però al momento mi sembra la situazione migliore per me. Poi c’è la questione del futuro del mercato che non passerà più per il disco. La cosa mi spaventa anche perché, parallelamente, ancora non si è trovato un modo per tutelare chi realizza opere musicali.
Domanda: La lingua inglese è quindi il modo in cui ti esprimi meglio?
The Niro: Ho iniziato la carriera come batterista e non ho mai pensato a scrivere canzoni. Poi, quando mi sono cimentato, istintivamente mi è venuto di esprimermi in inglese. Non so esattamente qual è il motivo, forse perché il 99% di ciò che ascolto è in inglese, forse perché venendo da ritmiche di batteria, l’italiano è difficile da adattare. Ci ho anche provato una volta, ma non trovavo soddisfacente quello che scrivevo perché sembrava come se incastrassi il testo nella musica, insomma finivo sempre per cambiare una frase tradendo del tutto il significato che volevo. Non escludo che un giorno canterò qualcosa in italiano, ma per ora mi piace così e do tanta attenzione ai testi. Esprimersi in inglese non significa scrivere un testo “tanto per”. Come una band che ho conosciuto qualche tempo fa, che mi ha confidato di scrivere inglese perché ha tantissima voglia di suonare, ma nulla da dire. La questione della lingua oggi è per me un limite in Italia, ma un vantaggio all’estero.
Domanda: Ma insomma, alla fine ti senti un cantautore italiano?
The Niro: Non lo so, non ci penso. Io so che mi sento italiano al 100%, prima della tua telefonata mi stavo facendo le farfalle col tonno e mi piace il calcio. Allo stesso tempo però ho un modo di esprimermi tutto mio. Non so se è anglosassone, a me Londra neanche piace! Forse sono stato influenzato dalla musica di lì, è vero, ma non so proprio teorizzare questa cosa. Per esempio in Inghilterra mi dicono che ho elementi spagnoli, forse per il tipo di arpeggio che utilizzo in qualche pezzo, ma io in Spagna ci sono andato solo una volta e avevo 18 anni, quindi…
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra