Gennaio 2008: Fondatore e chitarrista di Uzeda e Bellini, nonché padre della Indigena Booking, Agostino Tilotta è uno di quei musicisti che ha largamente contribuito a creare il mito della Catania del rock. Indipendente per scelta, alternativo per natura, Agostino ha rilasciato un’intervista a Il Cibicida ad un anno e mezzo dall’uscita di “Stella”, l’ultimo lavoro a nome Uzeda pubblicato ad otto anni di distanza dal precedente “Different Section Wires”.
Domanda: Agostino, ormai ce lo puoi dire, siete soddisfatti del risultato di “Stella”?
Agostino: Ma guarda, noi eravamo soddisfatti già al momento della registrazione. Di solito, come Uzeda, impieghiamo non meno di tre anni e quindi è un tempo tale che ci permette di entrare in forte sintonia col nostro lavoro. Tre anni sono ormai quasi fisiologici per noi, come fossero codificati nel nostro cervello. In questo lasso abbiamo buttato tanto di quel materiale ritagliato, reinciso perché il nostro obiettivo è esprimere tanto in poco.
Domanda: Perché, invece, sono stati otto gli anni fra “Different Section Wires” e “Stella”?
Agostino: Dopo “Different” e dopo l’ennesima estenuante tornata di concerti, non avevamo la tranquillità per continuare. Da quando abbiamo iniziato nel lontano ’87 la nostra attività è stata estremamente estenuante, non ci siamo fermati un secondo con più di 1300 concerti nel mondo. Tra l’altro ci occupiamo in pieno dell’organizzazione delle nostre trasferte. Noi guidiamo i mezzi, prenotiamo i viaggi, montiamo il materiale, etc. Dopo “Different” ed i tour in America, così, eravamo esausti. Era necessaria una pausa di riflessione, staccare la spina, ed ognuno di noi l’ha fatto. Ognuno di noi ha fatto le proprie autonome riflessioni pensando un po’ al mondo come poteva essere visto in altre forme. Due sono andati da un parte con cose commerciali, io e Giovanna abbiamo fondato i Bellini con due musicisti americani. Non ci siamo visti per tre anni e poi siamo tornati al posto prova e ci siamo rimessi a comporre facendo trascorrere gli altri tre anni per noi normali. Non ci è mai interessata la tematica canonica: strofa, riff, ritornello. Non fa parte del nostro modo di concepire la musica.
Domanda: I media non sono mai stati generosi con gli Uzeda…
Agostino: Noi abbiamo vissuto tante esperienze che sono un motivo d’orgoglio personale. Siamo stati due volte alla BBC, siamo stati invitati da John Peel, buonanima, lui passava il nostro disco alla radio, siamo stati decimi nella classifica dei gruppi indipendenti, abbiamo una serie di ricordi scolpiti nel cuore. Il nostro sogno era partire da Catania, una città sperduta – spesso schiacciata dai luoghi comuni e dalle credenze – per dialogare di rock, e credo ci siamo riusciti. Ancora ora negli U.S.A. abbiamo amici che hanno scritto pagine di storia fondamentale. Quando siamo entrati alla Touch And Go, all’epoca eravamo il primo gruppo europeo. Loro hanno voluto che entrassimo nella scuderia a pieno titolo e da subito. Una delle nostre due “Peel Sessions” ha fatto sei milioni di spettatori ed è finita in cd, anche la PFM ne fece una, ma a loro non fu mai stampato il disco. Insomma, noi dovremmo essere un orgoglio nazionale, ma poi ci sono le altre cose come il potere mediatico, il commercio, la pubblicità e tutte queste stronzate che possono attecchire più di ogni altra cosa. Pazienza.
Domanda: Hai citato Catania… com’è stato iniziare nella Catania di vent’anni fa?
Agostino: Quando abbiamo iniziato noi non c’era proprio nulla. E’ strano immaginarlo, ma Catania era una città depressa, ad esempio in via Teatro Massimo non c’era neanche l’illuminazione. C’erano tanti cinema ma il 95 % dei quali trasmetteva film porno. Quando dovevi viaggiare, l’America era lontana, lontanissima. All’epoca non c’era internet, ricordo che tornavo a casa stanco e scrivevo cartoline o lettere, ora puoi mandare una mail in Alaska ed arriva immediatamente. Oggi c’è possibilità di parlare, dialogare, comunicare. Il rischio però è il rovescio della medaglia, è imbrigliarsi nell’eccessiva possibilità, come in una specie di enorme ipermercato.
Domanda: Di recente ha colpito l’operazione commerciale/artistica dei Radiohead, cosa ne pensi?
Agostino: Per me non è una novità, assolutamente. Noi non abbiamo mai lasciato l’etichetta perchè non siamo stati mai con un major. Noi, per scelta, abbiamo deciso di fare parte di un mondo indipendente. Indipendenza legata alla forma d’arte, alla musica come forma d’arte. Quando i Nine Inch Nails ed i Radiohead si staccano è perchè cercano quella indipendenza. Noi l’abbiamo cercata sin dall’inizio, con la Touch And Go non siamo vincolati, non dobbiamo correre perchè c’è un processo produttivo dal quale parte una campagna promozionale, etc. Che i Radiohead lo facciano oggi dopo tutti i soldi che hanno fatto è comodo. Anzi tante volte dico “come mai i Pink Floyd non sono proprietari dei diritti dei loro dischi?”. Ma i Pink Floyd con tutti i soldi che hanno incassato – dischi come “The Dark Side Of The Moon” sono stati in classifica per dieci anni – potrebbero mettere gli album ad un euro, ma siccome sono operazioni commerciali i proprietari dei diritti non sono disposti a cedere, così per Natale ti mettono i cd “remastered” e poi gli altri a 15 euro. Tornando alla domanda iniziale, indubbiamente è una cosa interessante l’operazione fatta dai Radiohead, ma molti lo hanno già fatto in tempi non sospetti, come i Fugazi ad esempio. Insomma è facile per un ricco regalare un vestito a qualcuno…
Domanda: Quanto devono gli Uzeda a Steve Albini e quanto viceversa?
Agostino: Albini è un fonico, in America si dice “sound engineer”, il termine produttore di cui spesso si parla non corrisponde al lavoro che lui fa con noi. Cioè, lui in sala si mette al di là dei “fornelli” del mixer, e noi al di qua dei nostri amplificatori, chiarendo le posizioni che abbiamo sul campo. La domanda è: cosa vuole lui? E cosa noi? Noi vogliamo che il nostro suono vada su nastro esattamente cosi com’è, sembrerebbe la cosa più ovvia del mondo, ma vi assicuro che non lo è. Conosco tanti fonici che non sanno riportare su disco quello che esce da un amply o da un batteria. Se io chiamassi Brian Eno o telefonassi a Steve Lilliwhite chiederei io cosa voglio di preciso. Noi con Albini ci siamo trovati bene e poi abbiamo scoperto di avere tantissime cose in comune: dal gusto per il cibo alle stesse idee in materia di sound e di produzione del suono. Ricordo che nel primo disco abbiamo scritto “Produced by Steve Albini”, ma il produttore è un’altra cosa, entra in sala, stabilisce determinate cose, lavora sugli arrangiamenti, sui testi, ed è super-mega pagato dalla casa discografica. Un po’ quello che ha fatto la Geffen con due brani del famoso “In Utero” dei Nirvana. Siccome voleva fare due hits alla stregua di “Smells Like Teen Spirit” ed il suono doveva essere manipolato, chiese ad Albini di farlo. Albini disse “io non manipolo nulla, il suono della band è questo e la band è contenta così, non vedo perchè dovrei tornare a mixare due pezzi”. Lui gli ha detto: “io con voi non ho nulla a che fare”…
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto e Riccardo Marra