“Seven songs about death and heartbreaking”, le definisce Dustin O’Halloran poco prima d’accarezzarne i tasti per la prima volta, stanotte. Il suo compagno di viaggio, Adam Wiltzie, sistema la chitarra e lo osserva, sorridente: “lascerò che sia lui a parlare, perché ha vissuto in Italia e qualcosa dovrebbe ricordarla”. Quelle appena citate sono le sette, opalescenti composizioni racchiuse nel guscio di A Winged Victory For The Sullen, egida sotto la quale s’incontrano due tra i maggiori compositori statunitensi contemporanei. Le sette, magnifiche testimonianze d’un lavoro a quattro mani che, impreziositosi su disco con gli eccezionali cammeo di Peter Broderick e Hildur Guðnadóttir, trova nella graziosa abilità dell’ACME String Ensemble la propria spalla ideale per concertare e librarsi. Sette, dicevamo: poi cinque. Cinque, perché soltanto cinque di esse abiteranno il crepuscolo del 19 marzo, a Catania. Sette, dicevamo: poi cinque, poi due. Due, perché due saranno le ore a separare la prima nota dall’ultima. Due, perché è String Quartet N.2 di Micheal Nyman a scivolare per prima tra le lenzuola d’una vibrante performance. We Played Some Open Chords And Rejoiced, For The Earth Had Circled The Sun Yet Another Year, traccia d’apertura dell’album omonimo dato alle stampe quest’anno per Erased Tapes, ne schiude al contempo la porta dal vivo. Poche pennellate di pianoforte che fluttuano, gentilmente, nella nebbia.
I due bellissimi capitoli a nome Requiem For The Static King rendono l’occasione definitivamente memorabile. Un freddo riverbero mitigato dalle onde degli archi, in cerca d’un ancoraggio che singhiozza ed infine giunge, sulla tastiera di O’Halloran. La glaciazione ha le tinte di A Symphony Pathethique, mentre la prima, accogliente fioritura cavalca i sentieri tracciati da viola, violoncello e violino nell’incantevole Steep Hills Of Vicodin Tears. A questo punto, Wiltzie si congeda e riposa, indisturbato, sopra una delle numerose sedie desolatamente vuote. “Ora farò qualcosa che solitamente non faccio, quando sono in tour con Adam”, annuncia il pianista nato in Arizona. Ed ecco che Opus 43, uno dei nove eccellenti tasselli a formare ‘Lumiere’, sua ultima fatica discografica, prende a volteggiare. Ci sarà ancora tempo per Opus 20 prima e Fratres, dall’immenso genio di Arvo Pärt, poi, con l’ausilio dell’intera band. In attesa dell’ultimo, delicatissimo rantolo. Lasciato stavolta padrone assoluto del palco, O’Halloran chiude in bellezza e commuove i presenti con l’accurato tepore di Opus 28, chinandosi verso gli spettatori e saggiandone i meritatissimi applausi. Sarebbe bello, una volta tanto, poter osservare una sala gremita e gioirne, quando una simile occasione nobilita una stagione intera. Sarebbe bello, una volta tanto, riconoscere i volti di chi ci si aspetta presenzi ad eventi del genere. Sarebbe bello, una volta tanto, non fare il grillo parlante. E cantare, cantare, cantare soltanto: per tutta la notte. Senza tentare di restituire, alle bocche larghe ed ai corpi dormienti, lo splendore di ciò che s’è visto. Sarebbe bello, una volta tanto, che fosse bello tutto, per tutti. Nella certezza che per chi c’era, comunque, lo sia stato ugualmente.
Post-Scriptum: Ne approfitto, personalmente e anche a nome de Il Cibicida, per brindare ai trent’anni d’una bella e ancora giovane signora chiamata ‘Catania Jazz’. Grazie di tutto, auguri!
A cura di Michele Leonardi